Contenzioso

La sospensione del collocamento obbligatorio non legittima il licenziamento del disabile

Il datore di lavoro può solo non assumere lavoratori per mantenere o integrare la quota obbligatoria prevista dalla legge

di Marco Tesoro

Se da un lato la sospensione degli obblighi di assunzione consente al datore di non assumere lavoratori per mantenere o integrare la quota obbligatoria prevista dalla legge, dall'altro non legittima i licenziamenti dei lavoratori disabili. Così la Corte di cassazione, con l'ordinanza 35035/2022.

Il caso trae origine dal licenziamento collettivo avviato da una nota compagnia aerea, alla conclusione del quale è stata licenziata anche una lavoratrice disabile, assunta in base alla legge 68/1999.

Il Tribunale e la Corte d'appello, dopo aver accertato che il licenziamento della lavoratrice disabile aveva intaccato la quota di riserva prevista dall’articolo 3 della legge 68/1999, hanno dichiarato l'illegittimità del licenziamento e applicato la tutela reintegratoria, ritenendo la fattispecie sussumibile alla ipotesi di violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare.

La società ricorreva in cassazione sostenendo, tra le altre, la violazione dell'articolo 10 della legge 68/1999, avendo dato prova dell'ottenimento della sospensione degli obblighi occupazionali ed essendo, quindi, esonerata dall'obbligo di assumere lavoratori invalidi al fine di conseguire la quota di riserva e autorizzata altresì a non mantenerla. Sotto diverso profilo, la società sosteneva che la lavoratrice non avesse offerto la prova di essere stata assunta a mezzo del collocamento mirato né che era stata computata nelle relative quote all'epoca del licenziamento.

La Corte di cassazione ha rigettato le pretese datoriali, ricordando che, a mente dell'articolo 10, comma 4, della legge 68/1999 il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo esercitato nei confronti di un lavoratore occupato obbligatoriamente è annullabile qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva prevista dall'articolo 3 della medesima legge.

La ratio di tale disposizione, ricorda la Corte, nel quadro delle azioni di promozione dell'inserimento e dell'integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro, è quella di evitare che, in occasione di licenziamenti individuali o collettivi motivati da ragioni economiche, l'imprenditore possa superare i limiti imposti dalla normativa a tutela dei lavoratori appartenenti alle categorie protette.

Tale divieto, peraltro, è in parte compensato dalla sospensione degli obblighi di assunzione per le aziende che usufruiscano delle integrazioni salariali o per la durata delle procedure previste dalla legge 223/1991, per cui in caso di crisi le società sono esonerate dall'obbligo di assumere nuovi lavoratori rientranti nelle categorie protette, ma non possono coinvolgere i lavoratori disabili già in forza in recessi motivati da ragioni economiche, ove ciò vada a incidere sulla quota di riserva.

Pertanto la Suprema corte conclude sottolineando come «la sospensione degli obblighi di assunzione consente all'azienda di non assumere lavoratori per mantenere o per reintegrare la quota obbligatoria prevista dalla legge e, quindi, di ritrovarsi legittimamente al di sotto della quota di riserva, senza però per questo legittimarla ad effettuare licenziamenti nell'ambito dei lavoratori disabili».

Anche in merito alla tutela applicabile, la Cassazione conferma il ragionamento seguito dai giudici di merito, in quanto la violazione della quota di riserva, nel caso di licenziamento collettivo, rientra nelle ipotesi di «violazione dei criteri di scelta» con conseguente applicazione della tutela reintegratoria di cui all'articolo 18, comma 4, della legge 300/1970, ritenuta «opzione interpretativa rispettosa del dettato normativo e conforme alle finalità della disciplina – anche sovranazionale – in materia, posta a speciale protezione del disabile».

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