Contenzioso

La reggenza non entra a far parte dell’indennità di buonuscita

di Alberto De Luca

A pochi mesi dalla pronuncia delle Sezioni Unite, la Corte di Cassazione, Sezione lavoro, del 20 ottobre 2014, n. 22156, è tornata a pronunciarsi sul tema della base di calcolo per la determinazione dell'indennità di buonuscita nel pubblico impiego. Il caso riguardava un ex dipendente dell'Agenzia delle Entrate, il quale aveva adito il Tribunale di Verona al fine di ottenere la rideterminazione della buonuscita liquidata tenendo conto degli emolumenti percepiti in relazione alla funzione dirigenziale ricoperta in reggenza negli ultimi 5 anni di servizio. Il Tribunale accoglieva il ricorso, ma la sentenza veniva impugnata in secondo grado dai soccombenti, Agenzia delle Entrate, Ministero dell'Economia e INPDAP, e riformata dalla Corte di Appello di Venezia. La Corte di merito, infatti, aveva ritenuto che la locuzione “ultimo stipendio percepito” di cui all'art. 3, DPR 1032/73 era da intendersi come trattamento economico fondamentale e non come trattamento economico corrisposto, in quanto lo svolgimento di funzioni di reggenza, pur comportando, di fatto, lo svolgimento di mansioni superiori, non può determinare in alcun caso il diritto al corrispondente trattamento retributivo, essendo quest'ultimo necessariamente subordinato al superamento della relativa procedura concorsuale. La sentenza veniva impugnata in Cassazione.

Motivazioni della sentenza
Con l'unico motivo di ricorso, il ricorrente denunziava violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 38 DPR 1032/1973. In particolare, avendo la buonuscita natura di retribuzione differita avrebbe dovuto soggiacere al principio di corrispondenza della retribuzione alle mansioni effettivamente svolte enunciato dall'art. 52, D. Lgs. 165/2001. Con successiva memoria ex art. 348 cod. proc. civ., il ricorrente deduceva poi che il caso di specie doveva considerarsi diverso da quello esaminato dalle Sezioni Unite (sentenza del 14 maggio 2014, n. 10413), in quanto la funzione di reggenza era stata ricoperta per un periodo superiore (n. 5 anni rispetto ai n. 3 anni del caso esaminato per dirimere il precedente contrasto giurisprudenziale) e soprattutto in quanto era stata ricoperta in base ad incarichi della Pubblica Amministrazione. Aggiungeva infine a sostegno della propria tesi l'intervento legislativo di cui al D.L. 138/2011 sull'art. 19 D.Lgs. 165/2001 in tema di incarichi di funzioni dirigenziali secondo cui “ai fini della liquidazione del trattamento di fine servizio, comunque denominato, nonché dell'applicazione dell'articolo 43, comma 1, del DPR 29 dicembre 1973, n. 1032, e successive modificazioni, l'ultimo stipendio va individuato nell'ultima retribuzione percepita prima del conferimento dell'incarico avente durata inferiore a tre anni”. Allineandosi all'interpretazione offerta dalle Sezioni Unite, la Suprema Corte dichiarato il ricorso infondato. Secondo la Corte, infatti, l'intrinseca temporaneità dell'incarico dirigenziale ricoperto come reggente, affidato al dipendente sprovvisto della qualifica di dirigente, comporta che l'incremento di trattamento economico rispetto a quello corrispondente alla qualifica di appartenenza sia isolabile e non appartenga alla nozione di stipendio di cui all'art. 3, DPR 1032/1973 da intendersi invece come “trattamento economico tabellarmente riferibile alla qualifica di appartenenza”. Diversamente opinando, secondo la Corte, si finirebbe per equiparare la funzione di reggenza al conseguimento effettivo della qualifica superiore, così svuotando di significato le procedure concorsuali per l'accesso al pubblico impiego. Ne consegue che nella base di calcolo del trattamento di fine servizio non potevano ricomprendersi emolumenti diversi da quelli tassativamente indicati dal combinato disposto degli artt. 3 e 38, DPR 1032/1973. La Corte conferma così il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite, secondo cui l'indennità di buonuscita spettante “al pubblico dipendente che non abbia conseguito la qualifica di dirigente e che sia cessato dal servizio nell'esercizio di mansioni superiori in ragione dell'affidamento di un incarico dirigenziale temporaneo di reggenza (…) lo stipendio da considerare come base di calcolo dell'indennità medesima è quello relativo alla qualifica di appartenenza e non già quello rapportato all'esercizio temporaneo delle mansioni relative alla superiore qualifica di dirigente”.

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