Contenzioso

Le indagini preliminari non giustificano la sospensione della fase necessaria del rito Fornero

di Angelo Zambelli

Un'interessante ordinanza con la quale la Corte di cassazione il 14 novembre 2014 ha definito un procedimento per regolamento di competenza porta la nostra attenzione sui rapporti tra procedimento civile e procedimento penale (Cass. n. 24268/2014).
Un argomento di costante attualità, soprattutto quando investe questioni attinenti ai rapporti di lavoro, siano essi in corso o cessati.
Nel primo caso, infatti, non è raro che la tempestività con la quale il datore di lavoro decide di procedere disciplinarmente nei confronti di un dipendente che abbia posto in essere condotte rilevanti anche sotto il profilo penale sia influenzata dalla pendenza di un procedimento penale a carico del lavoratore.
Sul punto, la giurisprudenza ha affermato in alcuni casi la facoltà per il datore di lavoro di soprassedere alla contestazione allorché per i fatti che giustificano il licenziamento in tronco sia iniziato un procedimento penale che tali fatti debba accertare, e possa quindi attenderne l'esito pur se disponga di elementi di giudizio sufficienti per la contestazione immediata (Cass. 31 agosto 2010, n. 18986); in altre occasioni, invece, ha ritenuto incompatibile la ritardata intimazione da parte del datore di lavoro del recesso per giusta causa con l'attesa dell'esito del giudizio penale anche nell'ipotesi in cui il datore di lavoro si sia costituito parte civile nel processo penale, attesa la diversità, sul piano del contenuto e degli effetti, tra la vicenda penale e quella del rapporto di lavoro (Cass. 26 marzo 2010, n. 7410) e la incompatibilità della protrazione del rapporto di lavoro con la sussistenza di una giusta causa di licenziamento (Cass. 29 ottobre 1991, n. 11508).
Quando, invece, il rapporto di lavoro si sia già concluso con recesso del datore di lavoro per giusta causa, la problematica attiene al rapporto tra il giudizio di impugnazione del licenziamento con il procedimento penale: vale a dire esattamente l'aspetto affrontato nell'ordinanza in esame.
Nel caso di specie, tre lavoratori, dipendenti di un'impresa con più di quindici dipendenti e licenziati per giusta causa, adìvano il competente Tribunale nelle forme del Rito Fornero (art. 1, comma 48 e ss., L. 92/2012): il giudizio si trovava, quindi, nella fase sommaria cosiddetta necessaria, che è tesa a garantire al lavoratore una tutela urgente e che, di norma, dovrebbe iniziare e concludersi in una sola udienza.
Il Tribunale del Lavoro, rilevato che per due di loro pendeva procedimento penale, sospendeva il giudizio civile ai sensi dell'art. 295 c.p.c., ritenendo che dalla definizione di quel procedimento dipendesse la decisione della causa civile.
La Società datrice di lavoro ha interposto regolamento di competenza che la Suprema corte ha accolto integralmente segnalando, in particolare, due peculiarità che non giustificavano l'adottata sospensione.
Premessa, infatti, l'assoluta autonomia del giudizio civile rispetto a quello penale, il Collegio di legittimità ha rilevato, in primo luogo, che nella vicenda sottoposta alla sua attenzione si stavano svolgendo ancora le indagini preliminari: sì che non risultava ancora neppure promossa l'azione penale mediante formulazione dell'imputazione o la richiesta di rinvio a giudizio (art. 405 c.p.p.). Al riguardo, la Corte ha ricordato che «la sospensione necessaria del processo civile per pregiudizialità penale, ex art. 295 cod. proc. civ., è subordinata alla circostanza che il risultato delle indagini compiute dal pubblico ministero abbia dato luogo all'esercizio dell'azione penale e, quindi, che i due processi, civile e penale, si trovino contemporaneamente pendenti».
In secondo luogo, viene evidenziato come la disposta sospensione risulti antitetica alla ratio del Rito Fornero che, come abbiamo ricordato, «ha configurato la fase sommaria, nelle cause aventi ad oggetto l'impugnativa di licenziamento, come un passaggio processuale diretto a favorire una rapida definizione della causa».

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