Contenzioso

Il troppo freddo giustifica l’astensione retribuita dei lavoratori

di Rossella Schiavone

La Corte di cassazione, con sentenza 6631 dell'1 aprile 2015, ha affermato che, nel caso in cui i lavoratori non possano effettuare la prestazione lavorativa per inadempienza datoriale, mantengono il diritto alla retribuzione.

Nel caso di specie, il datore di lavoro aveva trattenuto dalla retribuzione di alcuni suoi dipendenti che lavoravano al piano inferiore dell'azienda, un'ora e mezzo di lavoro a seguito dell'astensione degli stessi causata dal freddo nell'ambiente lavorativo, dovuto a malfunzionamento della caldaia. Come correttamente già rilevato dalla corte territoriale, l'astensione non era riconducibile a sciopero, bensì all'impossibilità della prestazione dovuta alla temperatura troppo bassa nell'ambiente di lavoro.

A nulla è valsa la giustificazione dell'azienda la quale ha sostenuto che la temperatura significativamente bassa in considerazione della stagione e dell'eccezionalità della temperatura del giorno, aveva comportato la legittimità dell'interruzione dell'attività lavorativa di altri dipendenti che però lavoravano al piano superiore e che, quindi, l'astensione dei dipendenti del piano inferiore non era giustificata.

Tuttavia la corte territoriale ha accertato che il sito aziendale era articolato in due piani non separati del tutto tra loro: il divisore dei piani non occupava l'intero perimetro e consentiva il passaggio d'aria tra i due piani e, per di più, vi era un tunnel tra i due piani che consentiva il collegamento tra gli stessi per il passaggio dei carrelli e quindi l'immissione di aria fredda.
Quindi, nel caso di specie, il passaggio dell'aria fredda era avvenuto senza ostacolo alcuno.

La Suprema corte ha ricordato che il datore di lavoro è obbligato, in base all’articolo 2087 del codice civile, ad assicurare condizioni di lavoro idonee a garantire la sicurezza delle lavorazioni ed è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Qualora il datore di lavoro violi tale obbligo, i lavoratori sono legittimati a non eseguire la prestazione, eccependo l'inadempimento datoriale, e mantengono il diritto alla retribuzione (ex multis: Corte di cassazione, sentenze 10553/2013, 14375/2012, 11664/2006 e 9576/2005). A tal proposito si rammenta che per giurisprudenza, nei contratti a prestazioni corrispettive, quando una delle parti giustifica il proprio comportamento inadempiente con l'inadempimento dell'altra, al fine di stabilire se effettivamente il comportamento di una parte giustifichi il rifiuto dell'altra di eseguire la prestazione dovuta, occorre procedere a una valutazione comparativa del comportamento dei contraenti, anche con riguardo ai rapporti di causalità e di proporzionalità delle rispettive inadempienze in relazione alla funzione economico-sociale del contratto ed ai diversi obblighi gravanti su ciascuna delle parti.

Stante quanto sopra, il rifiuto di adempimento della prestazione da parte del lavoratore può ritenersi conforme a buona fede - in applicazione del principio “inademplenti non est adimplendum” ex articolo 1460, secondo comma, del codice civile - e trovare giustificazione nella mancata predisposizione, da parte del datore di lavoro, di misure idonee a tutelare l'integrità fisica del prestatore di lavoro.

Ancora più nello specifico, la Cassazione (sentenza 14375/2012) ha affermato che, nel caso in cui il datore di lavoro non adotti, a norma dell'articolo 2087 del codice civile, tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e le condizioni di salute dei prestatori di lavoro, il lavoratore ha - in linea di principio - la facoltà di astenersi dalle specifiche prestazioni, o dalle mansioni, la cui esecuzione possa arrecare pregiudizio alla sua salute, essendo coinvolto un diritto fondamentale protetto dall'articolo 32 della Costituzione.

Di conseguenza, qualora il lavoratore provi la sussistenza di tale presupposto, è illegittimo anche il licenziamento disciplinare intimato a causa del rifiuto dello stesso di continuare a svolgere mansioni pregiudizievoli (Cassazione, sentenza 11664/2006).

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