Contenzioso

Licenziamenti disciplinari con sanzione bloccata

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di Aldo Bottini

Quando si tratta di decidere la sanzione da applicare ad un licenziamento disciplinare ritenuto illegittimo, la linea di confine tra reintegrazione e mero indennizzo economico è la sussistenza o meno del fatto contestato nella sua materialità, senza margini per valutazioni discrezionali “di contesto”.

La sentenza 23669 del 6 novembre, che afferma questo principio, è il primo intervento della Cassazione sul regime sanzionatorio introdotto dal nuovo articolo 18 riscritto dalla riforma Fornero (si veda anche «Il Sole 24 Ore» di venerdì 7 novembre). L'intervento porta un fondamentale contributo di chiarezza nella controversa interpretazione della norma. Con una conseguenza importantissima: l'eventuale “sproporzione” del licenziamento rispetto alla gravità del fatto contestato rileva ai fini della legittimità o meno del recesso, ma deve rimanere estranea alla scelta della sanzione applicabile, operata sulla base della sola sussistenza/insussistenza del fatto materiale. Viene così autorevolmente confermata la duplicità dell'accertamento che il nuovo testo dell'articolo 18 richiede al giudice. Dapprima la verifica della legittimità o meno del licenziamento e poi, in caso di esito negativo di tale verifica, la scelta della sanzione. La valutazione della gravità o meno del comportamento, chiarisce ora la Cassazione, entra nel primo accertamento ma non nel secondo.

L'importanza di tale chiarimento appare evidente ove si consideri che gran parte delle controversie in materia di licenziamenti per ragioni soggettive verte proprio sulla valutazione di proporzionalità, imposta dall'articolo 2106 del Codice civile. In questa valutazione il giudice considera una serie di elementi che si accompagnano al fatto nella sua materialità: la natura della prestazione, la fiducia e il grado di diligenza richiesti dalle mansioni, le attenuanti o le aggravanti del comportamento, il contesto aziendale, l'esistenza di precedenti disciplinari e così via. Sulla base di questi elementi, frequentemente i giudici, investiti dell'impugnazione di un licenziamento disciplinare, giungono alla conclusione che il comportamento inadempiente effettivamente sussiste, ma non è così grave da giusticare la massima sanzione del licenziamento. Ebbene, in questi casi si potrà ritenere illegittimo il licenziamento, ma è preclusa la reintegrazione del lavoratore, dovendo il giudice optare per il solo indennizzo economico (da 12 a 24 mensilità). Risulta così sconfessato dalla Cassazione quell'orientamento, manifestatosi (sia pur in forma minoritaria) in questi due anni di applicazione della riforma, secondo cui il fatto da considerare come criterio per selezionare la sanzione non è il mero accadimento nella sua materialità, bensì il fatto “giuridico”, che comprende tutti gli elementi di contesto, tra cui il giudizio di proporzionalità. Un orientamente che, all'evidenza, privava di qualsiasi portata innovativa la norma. Rimane però un caso in cui il licenziamento sproporzionato può essere sanzionato con la reintegrazione: quello in cui la sproporzione è sancita a priori dai contratti collettivi o dai regolamenti aziendali. La legge infatti prevede la reintegrazione nell'ipotesi in cui il licenziamento sia stato irrogato per una infrazione che il codice disciplinare (di origine contrattuale collettiva o aziendale) sanziona con un provvedimento di tipo conservativo.

Disciplinari con sanzione bloccata

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