I motivi di revoca dell’ad già nel verbale dell’assemblea
L’amministratore della società ha diritto al risarcimento del danno se l’assemblea lo revoca dall’incarico senza una giusta causa. Peraltro, se la delibera non chiarisce i motivi della revoca, la società non potrà poi esporre le relative ragioni nel giudizio per il risarcimento promosso dall’ex amministratore. È quanto afferma il Tribunale di Catanzaro (presidente Belcastro, relatore Rinaldi) nella sentenza 2031 dello scorso 4 dicembre.
La controversia scaturisce dall’impugnazione della delibera assembleare di una società cooperativa a responsabilità limitata, che aveva votato la revoca del presidente del consiglio di amministrazione. Questi ha eccepito l’illegittimità della decisione e ha comunque presentato istanza per il risarcimento del danno. Dal canto suo, la società ha dedotto l’infondatezza delle domande e ne ha chiesto il rigetto.
Nel decidere la lite il Tribunale afferma, innanzitutto, che l’articolo 2383, comma 3, del Codice civile dispone che gli amministratori «sono revocabili dall’assemblea in qualunque tempo» anche se non ricorre una giusta causa, salvo, in questo caso, il diritto dell’amministratore al risarcimento dei danni.
Si tratta di un assetto normativo - si legge nella sentenza - che privilegia le scelte dell’assemblea anche rispetto alla posizione dell’amministratore, «chiaramente ispirato all’esigenza di garantire l’efficienza dell’azione sociale e la stabilità delle decisioni dell’assemblea» stessa.
Inoltre, se l’amministratore revocato chiede il risarcimento dei danni, la società, per andare esente da responsabilità, ha l’onere di dimostrare l’esistenza di una giusta causa. Che deve essere accertata sulla base degli elementi già indicati nel verbale dell’assemblea che ha deliberato la revoca, quanto meno nei loro tratti essenziali.
Infatti - prosegue il Tribunale, richiamando la sentenza 2037/2018 della Cassazione -, le ragioni della revoca non possono essere integrate nel corso del giudizio nel quale l’ex amministratore chiede il risarcimento, «appartenendo alla sola assemblea ogni valutazione in proposito».
Sul punto, il giudice aggiunge che la giusta causa ricorre in presenza di fatti che «facciano venir meno l’affidamento dei soci» su capacità e attitudini dell’amministratore. Peraltro, si può trattare anche di fatti che non costituiscono inadempimento degli obblighi gestori, ma che, tuttavia, incidano negativamente sul «rapporto fiduciario fra le parti».
Nel caso in esame, all’ex amministratore era stato contestato di non aver convocato l’assemblea (sebbene 20 soci su 27 lo avessero richiesto) e anzi di aver effettuato illegittime riunioni di «consigli di amministrazione paralleli alla gestione societaria». Il che - si leggeva nel verbale che aveva deliberato la revoca - rappresentava un grave danno per la società, giacché la stessa «si trova(va) nell’impossibilità di compiere qualunque attività gestoria».
Condotte, queste, che secondo il Tribunale integravano la giusta causa di revoca. Così la domanda di risarcimento è stata respinta, con condanna dell’ex amministratore al pagamento delle spese di lite.
Il Collegato lavoro in attesa dell’approvazione in Senato
di Andrea Musti, Jacopomaria Nannini