Contenzioso

Il Tar Lazio annulla la delibera della Commissione di valutazione sull’equo compenso dei giornalisti

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di Antonio Carlo Scacco

La delibera adottata il 19 giugno 2014 dalla Commissione per la valutazione dell'equo compenso giornalistico è stata annullata e dovrà essere tempestivamente riapprovata: è l'effetto della sentenza depositata il 7 aprile scorso dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio su ricorso proposto dal Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti.

La legge 233/2012 aveva introdotto norme finalizzate ad assicurare criteri di equità per i compensi erogati ai giornalisti iscritti nel relativo albo non titolari di un rapporto di lavoro subordinato (cosiddetti free lance), in considerazione dei diffusi abusi caratterizzanti il settore. Più in particolare la legge interessa i giornalisti «titolari di un rapporto di lavoro non subordinato in quotidiani e periodici, anche telematici, nelle agenzie di stampa e nelle emittenti radiotelevisive» (articolo 1).

Con “equo compenso” la norma fa riferimento a una remunerazione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto, coerentemente ai trattamenti previsti per i giornalisti lavoratori subordinati dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria. La pratica determinazione di tale (equo) compenso è stata demandata a una apposita Commissione insediata presso il Dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri che ha provveduto, da ultimo, con la citata delibera del 19 giugno 2014.

Ma il Tar Lazio ne ha censurato i contenuti sotto diversi profili. In primo luogo la delibera, rimandando ai principi e ai criteri generali contenuti nella legge Fornero (la 92/2012) in mancanza di specifica disciplina contrattuale, ha circoscritto indebitamente il suo ambito di applicazione ai soli collaboratori a progetto (peraltro in via di superamento ai sensi degli emanandi decreti attuativi della riforma del mercato del lavoro denominata Jobs act). Quindi una evidente limitazione rispetto alla lettera della legge che, invece, parla di «giornalisti iscritti all'albo non titolari di rapporto di lavoro subordinato» (nozione inclusiva di tutte le diverse ed ulteriori fattispecie riconducibili all'articolo 2222 e seguenti del codice civile).

Inoltre, ed è l'aspetto più interessante della sentenza, il Tar Lazio ha, sia pure parzialmente, accolto la censura dell’Ordine circa la violazione dei parametri, contenuti nell'articolo 36 della Costituzione, sul diritto del lavoratore di percepire una «retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa» (finalità cui la legge 233 tendeva espressamente). Infatti, si legge nel dispositivo, la delibera della Commissione si limita a introdurre parametri di equo compenso non soltanto slegati dalla quantità e qualità del lavoro svolto, ma altresì del tutto insufficienti a garantire un'esistenza libera e dignitosa al giornalista autonomo, dal momento che le tabelle retributive allegate alla medesima sono ancora fondate su un sistema di remunerazione 'a pezzo' o 'a chiamata'.

Un sistema che, nella convinzione del giudice amministrativo di prime cure, «vede aumentare la forza contrattuale degli editori», essendo la Commissione limitatasi a fissare una sorta di “minimo garantito” che non corrisponde affatto all'equo compenso previsto dalla legge (e dalla Costituzione). Il Tar Lazio ha tuttavia precisato che la nozione di “equo compenso” non può corrispondere neanche alle tariffe stabilite dall'Ordine dei giornalisti, che «eliminerebbero ogni margine di contrattazione atto a valorizzare il rapporto di proporzionalità fra quantità e qualità del lavoro specificamente svolto», ponendosi così in contrasto con gli scopi della legge.

Si apre quindi la strada a una sollecita riapprovazione della delibera da parte della stessa Commissione, tenendo conto dei principi espressi nel dispositivo dei giudici laziali. Ricordiamo che il mancato rispetto dei principi di equità del compenso, in esito alla valutazione negativa delle prassi retributive adottate dall'editore, può determinare la decadenza dal contributo pubblico all'editoria, nonché da eventuali altri benefici pubblici. Ulteriore e peculiare effetto conseguente al mancato rispetto dell'equo compenso è la nullità dell'intero patto contenente la clausola contrattuale difforme (articolo 3 comma 2 della legge).

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