Rapporti di lavoro

Prova, le mansioni si possono definire con un rinvio al Ccnl

di Stefano Rossi


Le modalità del recesso di una delle due parti e le mansioni assegnate al lavoratore sono tra le cause più frequenti delle controversie legate al periodo di prova, regolato dall'articolo 2096 del Codice civile. Durante questa fase iniziale del rapporto (con durata stabilita dai contratti collettivi, ma in generale non superiore a sei mesi), sia l'imprenditore, sia il prestatore di lavoro possono recedere dal contratto senza l'obbligo del preavviso o di versare alcuna indennità.

È interessante, oggi, capire come i magistrati interpretano i limiti posti dal Codice civile, per comprendere come stipulare validi patti di prova, evitando lunghi contenziosi giudiziari.

L'indicazione per iscritto. Con la sentenza 17591 del 4 agosto 2014, la Cassazione ha affermato che il patto di prova apposto al contratto di lavoro, oltre a dover risultare da un atto scritto, deve contenere l'indicazione specifica delle mansioni che ne costituiscono l'oggetto. Queste mansioni, soprattutto quando si tratta di un lavoro intellettuale e non meramente esecutivo, non devono necessariamente essere indicate nel dettaglio: è sufficiente che, in base a una formula adoperata nel documento contrattuale, siano determinabili. Nel caso esaminato dalla Corte, un dipendente era stato assunto da un'azienda impiantistica con la qualifica di quadro e con l'incarico di responsabile dell'ufficio tecnico. In seguito, era stato licenziato per mancato superamento del periodo di prova. Il lavoratore impugnava il recesso sostenendo la nullità del patto per difetto di forma, perché privo della indicazione specifica delle mansioni e per divergenza tra le mansioni indicate nel contratto di assunzione (responsabile dell'ufficio tecnico) e quelle concretamente svolte nel corso del rapporto di lavoro (addetto all'ufficio tecnico).

La Cassazione, respingendo il ricorso del dipendente, afferma che l'indicazione delle mansioni nel patto di prova può essere fatta anche attraverso il richiamo al contratto collettivo nazionale di riferimento, sempre che il rinvio sia sufficientemente determinato. A questo deve aggiungersi - precisa la sentenza - che più il lavoratore ha margini di discrezionalità nell'espletare le mansioni affidate, minore deve essere la descrizione analitica delle stesse. Se poi il lavoratore ha già lavorato per la stessa società, la giurisprudenza ha affermato che il patto di prova è illegittimo in relazione al secondo rapporto, per le stesse mansioni. In sostanza, il patto di prova mira a tutelare l'interesse di entrambe le parti contrattuali di sperimentare la reciproca convenienza al contratto. Non solo in termini di capacità tecnica del lavoratore, ma anche in ordine alla personalità professionale e morale del prestatore, di cui sono componenti essenziali l'onestà e la diligenza.

Le finalità della prova. In un caso affrontato dal Tribunale di Roma (ordinanza del 19 dicembre 2012, giudice Armone) il patto di prova è stato ritenuto illegittimo poiché il datore di lavoro aveva già testato, per quindici mesi, le qualità professionali, il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all'adempimento delle mansioni da svolgere.

Tuttavia, la Cassazione ha anche affermato che l'apposizione del patto di prova in due contratti di lavoro successivamente stipulati tra le stesse parti è ammissibile, quando risponde a una finalità apprezzabile e non elusiva di norme cogenti. Il patto di prova, infatti, è destinato a verificare non solo le qualità professionali, ma anche il comportamento e la personalità complessiva del lavoratore in relazione all'adempimento della prestazione. Questi elementi sono certamente suscettibili di modifiche nel tempo per il possibile intervento di molteplici fattori, come quelli attinenti alle abitudini di vita o al sopraggiungere di problemi di salute (Cassazione, sentenza 10440/2012).

LE PRONUNCE

La lettera di assunzione - Corte di Cassazione, sentenza 17587/2013

Il pubblico impiego - Corte di Cassazione, sentenza 25823/2013

La sanzione per la nullità - Corte di Cassazione, sentenza 5404/2013

Il lavoratore con disabilità - Corte di Cassazione, sentenza 17898/2014

Comunicazione del recesso - Corte di Cassazione, sentenza 15100/2012

L’interruzione per ferie - Corte di Cassazione, sentenza 4573/2012

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