Contenzioso

Il reintegro è corretto solo con il ritorno al reparto

di Giuseppe Bulgarini d'Elci

La Corte di cassazione, con sentenza n. 23016 del 29 ottobre 2014, nel respingere il ricorso di una società avverso una cartella esattoriale, ha affermato il principio per cui il diritto alla reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato non risulta soddisfatto nel caso in cui, benché sia avvenuta la ricollocazione nell'organico aziendale e siano state pagate le retribuzioni, non sia intervenuto il ripristino effettivo dell'attività lavorativa con reinserimento dei dirigenti sindacali licenziati nei reparti di produzione di provenienza.

A norma dell'art. 18, comma 10, dello Statuto dei lavoratori, nella sua versione precedente alle modifiche disposte dalla legge 92/12, nell'ipotesi di licenziamento di lavoratore che ricopra il ruolo di rappresentante sindacale aziendale, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di reintegrazione, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronuciata, è tenuto per ogni giorno di ritardo al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore.

La Cassazione ha ritenuto che, nel caso specifico, non era stato soddisfatto il requisito della norma statutaria, in quanto, in assenza di un effettivo ripristino della prestazione lavorativa nei reparti da cui provenivano i lavoratori (dirigenti di Rsa) prima del licenziamento, non si può ritenere completamente adempiuto l'ordine di reintegrazione.

Nel caso specifico la società, a seguito dell'ordine giudiziale di reintegrazione, aveva ricollocato in organico i lavoratori licenziati, consentendo loro l'accesso nello stabilimento aziendale, tra l'altro, per lo svolgimento dell'attività sindacale, ma senza reintegrarli nei reparti produttivi in cui erano stati impiegati prima del licenziamento. Per questa ragione, a parere della Suprema corte, l'ordine di reintegrazione non era stato adempiuto nel suo elemento centrale, in quanto era stato vanificato il diritto dei dipendenti al ripristino dell'attività lavorativa, atteso che il mero reinserimento in organico ed il conseguente pagamento della retribuzione mensile non costituiscono, in assenza di una effettiva ricollocazione sul posto di lavoro, condizioni sufficienti.

La sentenza 23016/14 perviene a questa conclusione sulla scorta di una puntuale ricostruzione dei principi costituzionali in materia. Nella motivazione della sentenza viene fatto diretto riferimento all'art. 1 della Costituzione, secondo cui la Repubblica è fondata sul lavoro, all'art. 2, che riconosce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e all'art. 4, che tutela il diritto al lavoro e alla promozione delle condizioni che lo rendano effettivo.

Facendo affidamento su questi principi, solo la ricollocazione dei lavoratori, che svolgano contemporaneamente l'attività di dirigenti sindacali, nel pieno esercizio delle funzioni cui gli stessi erano adibiti prima del licenziamento dichiarato illegittimo è idonea a soddisfare l'ordine giudiziale di reintegrazione, risultando in caso contrario dovuta all'ente di previdenza la sanzione applicata dall'art. 18, comma 10, della Legge 300/70.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©