Agevolazioni

Garanzia Giovani: governance «in cerca d’autore»

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di Giampiero Falasca


La Garanzia Giovani continua a dare risultati contraddittori e, comunque, poco soddisfacenti. Se si confronta l’enfasi con cui, nel 2013, fu annunciato il progetto comunitario con i risultati complessivi che emergono dai dati, ancora parziali, di monitoraggio, non si può fare a meno di pensare che la montagna sta partorendo il topolino. Per evitare di cadere nelle solite - ma sterili - lamentele sullo spreco di risorse pubbliche (seppure di provenienza comunitaria) bisogna interrogarsi sulle ragioni di questo insuccesso momentaneo.

Sicuramente il punto di partenza di qualsiasi ragionamento è la pubblica amministrazione: un sistema, come quello italiano, dove il pubblico non riesce ad erogare servizi efficienti, non può essere imperniato su strutture pubbliche come i centri per l’impiego.

La Garanzia Giovani avrebbe dovuto puntare in maniera più decisa sugli operatori privati - non solo le imprese, ma anche le associazioni, il terzo settore, eccetera - come sedi di gestione delle misure. Questa scelta è stata compiuta, ma con troppa timidezza e con anacronistici “inchini” al mito dei centri pubblici.

Un altro problema rilevante è quello della governance. Il sistema italiano vive un momento di assoluta incertezza sul tema dei servizi per l'impiego: il Titolo V è fallito, si discute di un ritorno al coordinamento centrale, è in discussione la delega sui servizi, le province sono in via di superamento.

Un sistema in cerca di autore, nel quale manca un “padrone del processo” capace di gestire in maniera manageriale un programma tanto ambizioso come la Garanzia Giovani.
La delega attuativa del Jobs act è un’occasione unica per recepire gli insegnamenti che vengono da questa vicenda, andando con decisione verso un modello di servizi per l’impiego più efficiente e moderno.

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