Dirigenti medici a casa a 65 anni
Come ci si deve comportare se il datore di lavoro pubblico vuole risolvere il rapporto ma il dirigente medico vuole raggiungere il quarantesimo anno di servizio effettivo? È questa la domanda che gli addetti all'ufficio personale delle aziende sanitarie si pongono dopo la conversione in legge del Decreto legge 90/14.
Per capire la problematica in questione occorre ripercorrere un po' di storia.
Il “collegato lavoro” (Legge 183/10) con una modifica alla normativa del Decreto legislativo 502/92 aveva previsto che il limite massimo d'età per il collocamento a riposo d'ufficio dei dirigenti medici e del ruolo sanitario del Ssn, compresi i responsabili di struttura complessa (direttori/primari) fosse al sessantacinquesimo anno di età ovvero, su istanza dei lavoratori interessati, al maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo e comunque non oltre il settantesimo anno di età. Inoltre l'applicazione di tale disposizione non poteva dar luogo a un aumento del numero dei dirigenti.
Sull'argomento l'ex Inpdap aveva emanato la nota operativa 56/10, precisando che nel concetto di servizio effettivo dovevano ricomprendersi tutte le attività lavorative effettivamente rese, mentre rimanevano esclusi i periodi non correlati a effettivo servizio, come il riscatto del titolo di studio.
Tuttavia il Decreto legge 90/14 ha modificato l'esercizio di risoluzione unilaterale dei datori di lavoro pubblici al raggiungimento dei requisiti contributivi per l'accesso alla pensione anticipata.
Per i dipendenti il perfezionamento di 42 anni e 6 mesi di contributi (41 anni e 6 mesi per le donne) unitamente a 62 anni di età può comportare il pensionamento “forzoso”.
La norma precisa però che il personale di magistratura, i docenti universitari e i responsabili di struttura complessa del Ssn non sono soggetti a tale disciplina e potranno continuare ad avvalersi della facoltà di rimanere in servizio fino ai limiti più elevati, mentre per gli altri dirigenti medici (diversi dai direttori) la norma si applica non prima del raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età.
Pertanto può accadere che un lavoratore abbia meno di 65 anni, un'anzianità contributiva sufficiente per accedere al pensionamento anticipato – grazie alla valorizzazione dei titoli di studio – ma chieda di rimanere in servizio fino al compimento del 40esimo anno di servizio effettivo.
In tal caso le amministrazioni, fermo restando l'invarianza numerica dei dirigenti, dovranno prendere atto della volontà del dipendente, titolare di un diritto potestativo, ma al raggiungimento del sessantacinquesimo anno potranno risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro.
Gli addetti agli uffici del personale si domandano, però, se tale modalità operativa possa ritenersi corretta o leda il diritto del dirigente medico di permanere in servizio fino ai limiti più elevati.
Al contrario un dirigente medico privo di un'anzianità contributiva sufficiente per accedere al pensionamento anticipato, al raggiungimento dei 65 anni rimarrà in servizio fino al 40esimo di servizio effettivo sempreché non superi i 70 anni di età.
Nei fatti la volontà e il diritto del dipendente a rimanere in servizio vengono mitigati, se non limitati, dalla necessità per la pubblica amministrazione di procedere con il pensionamento legato a scelte aziendali.