Rapporti di lavoro

Il tirocinio in azienda traghetta verso il posto

di Marta Casadei

I tirocini sono un ponte tra il mondo dello studio e quello del lavoro. Per traghettare gli studenti o i laureati dai banchi di scuole e università alle aziende, aiutandoli a posizionare il primo tassello di quel puzzle, a volte complicato, che è oggi la carriera professionale. E per portare nelle imprese, spesso alle prese con il ricambio generazionale dei propri dipendenti, nuova forze da formare e - così dovrebbe essere - inserire in modo stabile.

Ridurre i Neet

I tirocini rappresentano uno strumento importante nel percorso di inserimento lavorativo. Lo sono, a maggior ragione, in un contesto come quello italiano, nel quale la percentuale di giovani tra i 20 e i 34 anni che non studiano, né lavorano, nè stanno frequentando corsi di formazione (i cosiddetti Neet: not in employment nor in education and training) è la più alta di tutta l’area euro: nel 2018, nonostante il leggero calo rispetto al 2017, è stata toccata quota 28,9%, oltre dieci punti percentuali in più rispetto alla media dell’Eurozona, pari al 17,2 per cento. Mentre la disoccupazione giovanile a giugno 2019 è arrivata al 28,1%: è il tasso più basso dall’aprile 2011, ma è comunque quasi il doppio della media dell’Eurozona (15,7 per cento.

Le due opzioni

Le forme di tirocinio o stage attivabili in Italia sono rivolte a due categorie di potenziali tirocinanti: gli studenti, per i quali le competenze sviluppate nell’ambito del cosiddetto tirocinio curriculare sono parte integrante del percorso di studi universitari; e, tra gli altri, diplomati o laureati che non hanno maturato una significativa esperienza e intendono fare il proprio ingresso nel mondo del lavoro (tirocino extracurricolare).

Nel primo caso, è l’ateneo - magari attraverso gli sportelli stage - a proporre una serie di alternative allo studente che, senza aver frequentato il tirocinio, non può laurearsi. Mentre nel secondo entrano in gioco le Province e le Regioni che devono, tra le altre cose, tutelare lo stagista: il tirocinio, infatti, non è un contratto di lavoro subordinato.

La fotografia

Secondo il Rapporto annuale sulle comunicazioni obbligatorie 2019 del ministero del Lavoro, l’anno scorso sono stati attivati 348mila tirocini extracurricolari (- 6,1% rispetto al 2017). Che in alcuni casi hanno portato a un contratto di lavoro, come conferma lo stesso report: nel corso del 2018 sono stati attivati 134mila contratti a seguito di una precedente esperienza di tirocinio.

Si tratta - è vero - di una percentuale bassa (1,2%) rispetto al totale dei rapporti di lavoro siglati nell’anno, ma è comunque incoraggiante anche perché quasi in quattro casi su dieci (36,6%) tirocinio e contratto lavorativo vengono attivati nello stesso anno.

Se si guardano da vicino le cessazioni - che nel 2018 hanno interessato oltre 359 mila tirocini extracurricolari, di cui il 75,3% ha avuto una durata compresa tra 3 e 12 mesi - si nota che nella maggior parte dei casi (72,1%) i tirocini assolvono la loro funzione di orientamento e formazione, cessando alla fine del periodo previsto. Le aziende, peraltro, quasi mai (0,6%) prendono l’iniziativa di interrompere l’esperienza di stage, mentre i periodi formativi conclusi su richiesta del tirocinante rappresentano il 12,5% dei casi.

Nel dettaglio, i tirocini sono attivati soprattutto nel settore dei servizi, che - con 265mila attivazioni - assorbe il 76,3% del totale. E si concentrano prevalentemente al Nord, che con oltre 200mila esperienze formative copre il 57,6% del panorama italiano.

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