Salgono a 150 i tavoli di crisi, preoccupa l’aumento della Cigs
Nei quasi 150 tavoli di crisi occupazionale aperti al Mise che coinvolgono più di 210mila lavoratori sono due le novità che stanno destando grande preoccupazione negli ultimi mesi. La prima è che accanto ai settori da anni in grande difficoltà - dalla siderurgia all’agroalimentare, dall’automotive alla logistica e agli elettrodomestici - si aggiunge la grande distribuzione organizzata. La seconda è l’esplosione della cassa integrazione straordinaria, alla quale si ricorre in caso di crisi più gravi e ristrutturazioni, che nel primo quadrimestre 2019 segna un incremento di oltre il 26% rispetto allo stesso periodo del 2018 e ad aprile raggiunge un +78% sullo stesso mese dello scorso anno.
Con l’ingresso della grande distribuzione il numero dei tavoli è aumentato rispetto ai 138 aperti a gennaio. Accanto ai nomi di Alitalia, di Piaggio Aero e Bombardier, Aferpi di Piombino, Alcoa di Portovesme, a marchi come Pernigotti, spiccano IperDì e diversi supermercati Coop. La vicenda Mercatone Uno è stata al centro del tavolo del 27 maggio, con il fallimento dichiarato dal Tribunale di Milano della Shernon Holding Srl e la chiusura dei 55 punti vendita: per la salvaguardia dei 1.800 lavoratori si punta ad ottenere l’autorizzazione all’esercizio provvisorio per poter ricorrere alla Cigs. Ieri è stata la volta dei rappresentanti di Conad che hanno riferito dell’operazione di subentro negli asset aziendali di Auchan Sma: coinvolti circa 18mila lavoratori.
Al ministero dello Sviluppo intanto ci si interroga sulla gestione dei singoli tavoli e, su un altro fronte più generale, su come riformare lo strumento delle “aree di crisi”. Nella lettera in cui contestano duramente il progetto di riordino del Mise (riduzione delle direzioni generali da 15 a 12) tra gli altri punti criticati i sindacati interni fanno presente al ministro Di Maio e al segretario generale Salvatore Barca il rischio che ci sia ambiguità sulla titolarità della competenza della gestione delle crisi di imprese, se in seno alla direzione Politica industriale o allo stesso segretario generale. Malessere emerso anche nell’incontro di ieri tra lo stesso Barca e le sigle interne.
Ad alimentare la preoccupazione dei sindacati, contribuisce anche il fatto che tra i 210mila lavoratori delle aziende in crisi circa il 35% è considerato più a rischio perché proveniente da imprese in procinto di chiudere, per cui la ricollocazione è più difficile. Senza trascurare poi gli effetti sugli oltre 70mila lavoratori dell’indotto. «I dati sull’esplosione della Cigs ci dicono che siamo in presenza di crisi più profonde - sostiene Salvatore Barone (Cgil) - serve un intervento adeguato di riorganizzazione e ristrutturazione, il pericolo è che al termine della cassa integrazione si perdano migliaia di posti di lavoro». Dal Mise i sindacati attendono un cambio di marcia: «Serve maggiore impegno - afferma Luigi Sbarra (Cisl)- , il ministero non può limitarsi a una gestione burocratica e istruttoria di questi casi: vanno costruiti percorsi attivi di reindustrializzazione e riconversione, cercati acquirenti e partner dentro e fuori i confini nazionali, occorre vigilare su amministrazioni e piani industriali credibili e sostenibili. Serve una struttura di gestione di crisi adeguata, capace, competente. E serve una politica industriale in grado di rilanciare i comparti produttivi del nostro Paese con investimenti veri in ricerca, formazione, innovazione. Strategia di cui non vediamo traccia nei provvedimenti del Governo».
Le parti sociali chiedono di avere un prospetto complessivo dei tavoli in corso, perché molte vertenze salutate dal ministero come risolte, poi si riaffacciano. È il caso di Alcoa con i lavoratori che sono tornati a manifestare sotto il Mise, o di Termini Imerese. Passi in avanti per uscire dalla crisi si registrano per vertenze come Divani Natuzzi e Piaggio Aero, ma ancora non si può parlare di uscita dal tunnel. In assenza di statistiche aggiornate sull’operato di Di Maio, restano i dati forniti dal precedente governo che segnalano come, tra il 2014 e il 2017, l’unità di gestione crisi abbia lavorato su 160 casi che hanno interessato 617mila lavoratori, di cui 77.125 (il 13%) hanno trovato una nuova occupazione attraverso un processo di reindustrializzazione. All’inizio del 2018 era stato calcolato che su circa 160 tavoli il 46% riguardava crisi in corso, il 22% casi con conclusione definitiva positiva, il 28% casi con conclusione positiva in monitoraggio, il 3,7% casi con conclusione negativa.
Ad ogni modo non c’è da portare avanti solo il lavoro quotidiano sui singoli tavoli di crisi. In alcuni casi, i tavoli si inseriscono in una situazione di generale difficoltà di un territorio. E può essere quindi determinante l’utilizzo delle agevolazioni previste dalla legge 181/1989 sulle «aree di crisi». Uno strumento che però sta dimostrando di funzionare poco e con tempi biblici: nel caso delle aree di crisi complessa passano in media 10 mesi per far partire i progetti di riconversione industriale. Di qui l’intenzione del Mise di varare rapidamente una riforma per semplificare le procedure.