Previdenza

Ex Ilva, a Taranto cassa integrazione per 1.400 lavoratori

di Matteo Meneghello

Cassa integrazione a zero ore per 1.400 persone per 13 settimane. ArcelorMittal ricorre agli ammortizzatori sociali anche in Italia, a Taranto, per gestire la riduzione di 3 milioni di tonnellate di produzione di acciaio, annunciata nelle scorse settimane. All’ex Ilva era stato deciso di rimandare il «ramp up» a 6 milioni di tonnellate previsto dal piano industriale nel 2019, fermando l’output a 5 milioni. Ieri i vertici hanno comunicato che, per le stesse ragioni (la difficile situazione del mercato europeo dell’acciaio) si farà ricorso alla cassa. L’azienda ha già contattato il sindacato, ulteriori dettagli saranno forniti nell’incontro di oggi (il 10 invece è previsto un vertice più ad ampio raggio). I rappresentanti dei lavoratori però hanno criticato duramente l’annuncio, giunto inaspettato. Per il leader della Uilm, Rocco Palombella, è una decisione «grave, inopportuna e sbagliata. Non si era mai verificato prima che a pochi mesi dall’acquisizione un’azienda facesse ricorso alla cassa» ha detto, sollevando un problema di opportunità. Secondo le prime ricostruzioni il contratto di affitto con obbligo d’acquisto prevedeva però un periodo di soli tre mesi di «pax sindacale» in cui all’azienda era di fatto impedito l’accesso alla Cassa.

«È una decisione difficile – spiega l’ad di ArcelorMittal Italia, Matthieu Jehl – ma le condizioni del mercato sono critiche in tutta Europa. Sono misure temporanee, l’acciaio è un mercato ciclico». Nell’analisi di ArcelorMittal Italia «l’acciaio europeo soffre una situazione economica peggiorata negli ultimi mesi. Tutti gli indicatori evidenziano un rallentamento del mercato e non solo nell’automotive, in calo del 10%». Il gruppo lamenta «un’importante riduzione del consumo di acciaio a livello europeo e, anche italiano, che ha determinato un progressivo minore carico di ordini e di lavoro». Accanto alla riduzione della domanda «si è registrato un aumento senza precedenti delle importazioni» dai paesi extraeuropei: «nei primi 4 mesi l’ import di coils e lamiere è aumentato del 51% rispetto allo stesso periodo del 2018. Inoltre, tale contesto sopravviene a un periodo in cui le scorte a magazzino sono aumentate oltre i livelli standard di giacenza».

Il gruppo guida in Europa la protesta contro la politica di difesa commerciale di Bruxelles, giudicata non efficace nella tutela delle esigenze dei produttori. La stessa ArcelorMittal Italia ha ribadito che le misure di salvaguardia per l’import di acciaio adottate dalla Commissione Ue sono «deboli, ci rendono vulnerabili in un momento in cui i prezzi dell’acciaio sono bassi, i costi energetici elevati e i costi delle materie prime in aumento». Il ceo di ArcelorMittal Europe, Aditya Mittal, è stato capofila, martedì, di un’iniziativa di protesta di 45 amministratori delegati dei più importanti gruppi siderurgici europei che hanno scritto una lettera aperta ai capi di stato e di Governo della Ue e alle istituzioni comunitarie per chiedere un’azione urgente a sostegno del settore. Tra questi, ha firmato il documento anche il vicepresidente di Federacciai e ceo del gruppo Arvedi, Mario Caldonazzo.

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