Contrattazione

Gli stagionali dribblano i vincoli del decreto “dignità”

di Ornella Lacqua e Alessandro Rota Porta

Il lavoro stagionale sta diventando un istituto con molto appeal nel mercato del lavoro, in quanto la grande flessibilità che ne accompagna l’utilizzo è diventata una merce molto rara dopo l’entrata in vigore del decreto dignità.

I contratti a termine stipulati per attività lavorative riconducibili a questa nozione sono immuni, infatti, dai limiti che caratterizzano il lavoro a tempo, a partire dalle regole introdotte dal Dl 87/2018, con la conseguenza che i contratti possono essere stipulati, rinnovati o prorogati anche in assenza delle causali previste dall’articolo 19, comma 1, del Dlgs 81/2015.

Il pacchetto delle esenzioni che la legge riserva al lavoro stagionale non si limita alla disciplina delle causali, delle proroghe e dei rinnovi; alle attività rientranti nella nozione non si applicano neanche i limiti di durata massima introdotti dalla riforma (24 mesi), il cosiddetto “stop and go” (l’obbligo di attendere 10 o 20 giorni in caso di rinnovo del contratto), il limite quantitativo di utilizzo massimo del lavoro a termine (20% dell’organico a tempo indeterminato presente al 1° gennaio dell’anno). Si applica in maniera limitata anche la maggiorazione contributiva dello 0,5% in caso di rinnovo del contratto tra le stesse parti (non è dovuta per i casi previsti dal Dpr 1525/1963).

L’eccezione
Ma come si può individuare l’accezione della stagionalità rispetto ad una determinata prestazione lavorativa?

Questa ricognizione si può ottenere sulla base di due percorsi alternativi.

Tale definizione si applica, innanzitutto, se l’attività rientra tra quelle individuate dal Dpr 1525/1963, il provvedimento che – in attesa di un decreto del ministero del Lavoro che lo aggiorni – individua da decenni quali sono le attività stagionali.

La platea dei lavoratori stagionali può essere definita anche dalla contrattazione collettiva che, secondo quanto prevede l’articolo 21, comma 2, del Dlgs 81/2015, può individuare ulteriori ipotesi di lavoro stagionale attraverso intese di livello nazionale, territoriale oppure aziendale, sottoscritte da associazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Vi sono, infatti, alcuni settori i cui contratti collettivi nazionali di riferimento hanno da sempre disciplinato particolari declinazioni di questo istituto, consentendo sostanzialmente la sterilizzazione della stretta operata dal decreto Dignità sui rapporti a termine.

Si tratta, infatti, di una “qualifica” tipica per determinati comparti, come quello del turismo, dove il fabbisogno di personale rispecchia, per larga parte, l’andamento ciclico delle punte di attività e il contratto a tempo determinato soddisfa le esigenze strutturali di flessibilità.

Ad esempio, il contratto nazionale per i dipendenti da aziende dell’industria turistica, con l’accordo in materia del 14 novembre 2016 ha individuato diverse ipotesi – esenti dai limiti quantitativi – in cui sono attivabili i rapporti di lavoro a termine da parte delle aziende di stagione e quelli stipulati da aziende ad apertura annuale nei casi di intensificazione dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno.

Aziende di stagione
In merito alla definizione di “aziende di stagione”, l’articolo 51 del Ccnl l’ha individuata per le unità produttive che rientrino tra le «attività svolte in colonie montane, marine e curative e attività esercitate dalle aziende turistiche, che abbiano, nell’anno solare un periodo di inattività non inferiore a 70 giorni continuativi o 120 giorni non continuativi»: peraltro, in questo ambito, l’intero organico può essere assunto con contratto di lavoro a tempo determinato.

Inoltre, l’accordo prevede come ulteriori ipotesi di esclusione dal contingentamento potranno essere disciplinate dalla contrattazione di secondo livello: quest’ultima può intervenire anche per ampliare i numeri e la percentuale dei lavoratori assumibili.

Sempre in ambito turistico, anche l’accordo siglato da Confcommercio e dalle organizzazioni sindacali il 31 ottobre 2018 va nella stessa direzione: l’intesa considera aziende di stagione quelle che osservano, nel corso dell’anno, uno o più periodi di chiusura al pubblico, nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia. Inoltre, per le parti, rientrano nei casi di legittima apposizione del termine per esigenze stagionali le attività già previste dal Dpr 1525/1963 ma anche le intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, come quelli: connessi a festività o allo svolgimento di manifestazioni; interessati da iniziative promozionali e/o commerciali; di intensificazione stagionale e/o ciclica dell’attività in seno ad aziende ad apertura annuale.

Più recente gli interventi operati nel settore commercio da Confcommercio e Confesercenti (accordo del 17 aprile 2019) dove le parti hanno ribadito la validità della previsione che consente – in determinate località a prevalente vocazione turistica (individuate dalla contrattazione territoriale) – pur in assenza di esercizio di attività a carattere stagionale, l’attivazione di contratti a termine riconducibili a ragioni di stagionalità al fine di gestire i picchi di lavoro.

I casi specifici

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