Contenzioso

Licenziamento in malattia: non sempre le ferie bloccano il comporto

di Elsa Mora e Valentina Pomares

La Cassazione torna a occuparsi del licenziamento del lavoratore in malattia. Con due pronunce che sembrano rafforzare la posizione del datore di lavoro, pur nel quadro di una giurisprudenza che definisce in modo rigoroso gli oneri da soddisfare perché il recesso sia considerato legittimo.

Nell’ordinanza 10725 del 17 aprile scorso, la Corte ha ribadito che il dipendente malato può richiedere la fruizione delle ferie già maturate per evitare il licenziamento che conseguirebbe al decorso del periodo di comporto. Ma, precisa la Cassazione, non c’è un obbligo del datore di accogliere la richiesta, se ci sono particolari ragioni organizzative.

Nella sentenza 7641 del 19 marzo scorso, invece, la Corte ha ribadito che lo svolgimento di un’altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante la malattia, configura la violazione degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà e dei doveri generali di correttezza e buona fede, se la stessa attività può pregiudicare la guarigione o il rientro in servizio. La violazione di questi obblighi si configura infatti, oltre che nell’ipotesi in cui l’attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la stessa attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio.

In base all’articolo 2110 del Codice civile, la malattia (come l’infortunio, la gravidanza e il puerperio) è un’ipotesi di temporanea impossibilità di svolgere la prestazione lavorativa, che dà luogo a una mera sospensione del rapporto di lavoro.

La regola generale dell’articolo 2110 del Codice civile stabilisce che, in caso di prolungata malattia, il datore di lavoro può recedere dal contratto, ma solo all’esito di un periodo di conservazione del posto (il cosiddetto «periodo di comporto»), solitamente stabilito dalla contrattazione collettiva. In questo caso, il licenziamento sarebbe intimato, con preavviso, proprio per il superamento del periodo di comporto.

Il licenziamento per superamento del periodo di comporto in caso di malattia è un’ipotesi tipizzata di giustificato motivo di licenziamento: il superamento del periodo di comporto è condizione sufficiente a legittimare il recesso, e non è necessaria, in questo caso, la prova del giustificato motivo oggettivo né dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa né quella della impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse (Cassazione, sentenza 9306 del 3 aprile 2019).

A differenza del licenziamento disciplinare, che richiede l’immediatezza del recesso a garanzia del diritto di difesa dell’incolpato, nel licenziamento per superamento del periodo di comporto il giudizio sulla tempestività del recesso non può conseguire alla rigida applicazione di criteri cronologici prestabiliti ma costituisce valutazione di congruità che il giudice deve compiere caso per caso, apprezzando ogni circostanza significativa (Cassazione, sentenza 25535 del 12 ottobre 2018).

Il datore può attendere il rientro in servizio del lavoratore prima di procedere con la risoluzione del rapporto, anche nel caso in cui il periodo di comporto sia già spirato (Cassazione, sentenza 24899 del 15 novembre 2011).

Come detto in apertura, per evitare il licenziamento che conseguirebbe al decorso del periodo di comporto, il dipendente malato può chiedere di fruire delle ferie già maturate (ordinanza 10725/2019 e sentenza 8834 del 5 aprile 2017). Le ferie potranno essere rifiutate dal datore di lavoro, in caso di particolari esigenze aziendali (Cassazione, sentenza 5078 del 3 marzo 2009). L’obbligo di concedere le ferie a carico del datore viene in ogni caso meno quando il lavoratore può chiedere in base al contratto collettivo applicato e per le stesse finalità, il collocamento in aspettativa non retribuita (Cassazione, sentenza 14490 dell’8 novembre 2000). Se il Ccnl non lo prevede, il datore non è obbligato ad avvertire preventivamente il lavoratore dell’imminente scadenza del periodo di comporto (Cassazione, sentenza 20761 del 17 agosto 2018).

Prima della fine del periodo di comporto è possibile porre fine al rapporto di lavoro, con effetto immediato, tramite il licenziamento per giusta causa, che consente il recesso del datore di lavoro senza alcun preavviso. La Cassazione ha legittimato il licenziamento per giusta causa inflitto a un lavoratore in malattia per una lombosciatalgia, esibitosi però in un concerto, proprio durante la sospensione del rapporto (Cassazione, sentenza 6047 del 13 marzo 2018).

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