Trasferimenti da «104» legati ai comportamenti pregressi
Per valutare se il lavoratore che fruisce dei permessi per assiste il familiare con handicap in situazione di gravità in base all’articolo 33, comma 5, della legge 104/1992, abbia diritto di scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere, può essere valorizzato il suo comportamento pregresso.
La Cassazione (sentenza n. 26603/2019 del 18 ottobre scorso) ha ritenuto, in questo senso, indice della pacifica intenzione di voler prestare continuativa assistenza al familiare con handicap grave il fatto che, nel periodo che ha preceduto la richiesta di trasferimento della sede di lavoro, la dipendente avesse usufruito di un periodo di maternità, di successivi otto mesi di distacco sindacale e, infine, di ulteriori sei mesi di congedo straordinario.
L’astensione ininterrotta dal lavoro protrattasi per oltre due anni da parte della lavoratrice – dapprima per maternità, quindi per distacco sindacale e, infine, per congedo straordinario - è sintomatico, secondo la Cassazione, della volontà di organizzare la propria esistenza in modo da poter continuare ad accudire il familiare affetto da grave handicap e seguirlo nelle attività della vita quotidiana e nelle terapie.
Alla luce di questi presupposti, per la Corte di legittimità risulta giustificata la richiesta del dipendente, al rientro in servizio dopo il lungo periodo di sospensione, di trasferimento in una una sede prossima al domicilio del familiare da assistere. La contemporanea conferma della esistenza di sedi disponibili ove poter ricollocare il dipendente determina, per la Cassazione, il diritto indiscutibile alla scelta della sede di lavoro più vicina, ai sensi dell’articolo 33, comma 5, della legge 104/1992.
La norma stabilisce che il lavoratore dipendente che assiste persona con handicap in situazione di gravità abbia diritto, «ove possibile», di scegliere una sede di lavoro che gli consenta di avvicinarsi al domicilio della persona da assistere. La controversia sottoposta alla Corte si incentrava proprio su questo elemento, ritenendosi da parte della società datrice di lavoro che l’avvicinamento di sede richiesto dalla dipendente non fosse «possibile» e, dunque, non potesse essere soddisfatto per ragioni di natura economica ed organizzativa, le quali erano destinate a prevalere rispetto alle esigenze private del dipendente.
Su questo presupposto la società aveva impugnato la sentenza d’appello che, accogliendo la domanda della lavoratrice, aveva confermato la condanna del datore di lavoro a trasferire la dipendente in una sede più vicina al domicilio della persona da assistere.
La Cassazione conferma il giudizio reso in appello e osserva che, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, laddove emerga che la lavoratrice, alla luce del suo comportamento pregresso, aveva organizzato la propria esistenza allo scopo di poter accudire continuativamente la suocera, a prevalere debba essere il diritto del dipendente a scegliere la sede disponibile più vicina al domicilio del familiare con handicap.
La sentenza n. 26603/19 della Corte di cassazione
Il Collegato lavoro in attesa dell’approvazione in Senato
di Andrea Musti, Jacopomaria Nannini