Cococo, l’intesa collettiva esclude le tutele del lavoro subordinato
Le regole del lavoro subordinato non si applicano ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nonostante sussista il requisito della cosiddetta etero-organizzazione, se il trattamento economico e normativo di questi rapporti è già disciplinato da specifici accordi collettivi.
Con un’articolata e innovativa sentenza – che recepisce e sviluppa l’indirizzo giurisprudenziale formatosi presso la Corte d’appello di Torino nel cosiddetto “caso Foodora” – il Tribunale di Roma (6 maggio 2019, G.I. Bracci) fornisce un contributo importante alle discussioni sulle tutele da applicare al lavoro parasubordinato.
La controversia riguarda i contratti di collaborazione coordinata e continuativa stipulati da un’impresa che eroga servizi di call center; sulla base di questi contratti, i collaboratori hanno realizzato delle campagne telefoniche per la gestione di disservizi riscontrati dagli utenti con la modalità cosiddetta outbound. Dopo la fine dei rapporti di collaborazione, alcuni dei lavoratori hanno impugnato in via stragiudiziale i contratti e l’azienda, in via preventiva, ha presentato ricorso al Tribunale di Roma per ottenere l’accertamento della legittimità dei relativi contratti.
Il Tribunale ha accolto la domanda, partendo dalla considerazione che i rapporti in questione non erano riconducibili alla nozione di lavoro subordinato, in quanto i collaboratori potevano decidere di svolgere oppure no la prestazione: l’attività doveva essere svolta solo in caso di prenotazione, da parte del collaboratore, di una specifica fascia oraria, senza alcun obbligo al riguardo.
Una volta esclusa la subordinazione, il Tribunale s’interroga sulla disciplina applicabile al rapporto e, per compiere tale accertamento, individua nell’ordinamento due distinte forme di collaborazione: la forma ordinaria (co.co.co.), disciplinata dall’articolo 409 del Codice di procedura civile, nella quale il soggetto organizza in modo autonomo la prestazione, e la forma etero-organizzata (co.co.org.), disciplinata dal Dlgs 81/2015, nella quale il collaboratore è soggetto al potere organizzativo (inteso come integrazione funzionale del collaboratore nell’organizzazione del committente).
Solo per quest’ultima fattispecie, osserva il Tribunale, vale la regola introdotta dall’articolo 2, comma 1, del Dlgs 81/2015, il quale ha stabilito che ai rapporti di collaborazione etero-organizzati «si applica» la disciplina del lavoro subordinato. Secondo il Giudice, tale disposizione non comporta la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti (la stessa lettura è stata proposta dalla Corte d’appello di Torino con la sentenza n. 26 del 4 febbraio 19), ma determina l’obbligo per il committente di applicare al rapporto di collaborazione le norme tipiche del lavoro subordinato con riferimento ad alcuni aspetti specifici (sicurezza sul lavoro, retribuzione diretta e differita, inquadramento, orario, ferie e previdenza).
Nel caso esaminato, la sentenza rileva che il rapporto presentava le caratteristiche della co.co.org. e, quindi, in teoria il committente avrebbe dovuto applicare le tutele del lavoro subordinato. Tuttavia, tale obbligo non sussiste in concreto, perché l’azienda applica un accordo collettivo, stipulato da soggetti collettivi dotati di rappresentatività comparativa, che già regola in maniera specifica il trattamento economico e normativo dei collaboratori. In presenza di tale accordo, non è necessario (come prevede lo stesso Dlgs 81/2015) applicare le tutele del lavoro subordinato, avendo già le parti sociali definito un complesso adeguato di regole per i collaboratori parasubordinati.
La sentenza del Tribunale di Roma del 6 maggio 2019