Previdenza

Protetti 2 milioni di lavoratori in più

di D.Col.

Il mercato del lavoro italiano è meno vulnerabile che in passato. Se una nuova recessione colpisse la nostra economia i lavoratori dipendenti protetti da un sussidio contro la disoccupazione sarebbero pari al 97% del totale, contro l’82% di assicurati prima delle riforme Fornero e del Jobs act. Lo rivelano i numeri elaborati dall’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp): considerando lo stock di dipendenti in forza a fine 2016, pari a 13,2 milioni, gli esclusi da un sussidio prima delle riforme erano 2 milioni e 380mila, mentre dopo le riforme sarebbero meno di 400mila. Insomma, due milioni in più di lavoratori coperti.

Del tema si parlerà oggi a Montepulciano, in occasione del Festival «Luci sul lavoro» dal titolo «Dieci anni di riforme del lavoro e del welfare. Siamo ancora il paese della flex-insecurity?» riprendendo il titolo di uno studio di Berton, Richiardi e Stefano Sacchi, attuale presidente dell’Inapp. In particolare prima del 2012 i lavoratori con contratto a tempo indeterminato che avevano accesso ai sussidi di disoccupazione erano il 90%, oggi sono saliti al 99%. Ancor più marcata la crescita per i contratti a tempo determinato passati dal 62% all’88%. Un forte incremento si è poi registrato per gli apprendisti, che sono passati da appena il 21% al 92% di oggi, proprio grazie alle riforme che li hanno anche inclusi nella cassa integrazione. Proprio sulle integrazioni salariali in caso di riduzione dell’orario di lavoro o sospensione del rapporto s’è avuta un’altra estensione delle tutele: se prima della crisi erano coperti solo 5 milioni di lavoratori, inseriti nel sistema Cigo e Cigs, oggi sono oltre 11 milioni i lavoratori protetti, l’88% dei dipendenti privati.

Stefano Sacchi ricorda come al momento della Grande Recessione e la successiva crisi dei debiti sovrani, il ricorso agli ammortizzatori in deroga aveva lasciato buchi sempre più grandi nella rete della protezione sociale: «Per questo si parlò allora di flex-insecurity anziché flexsecurity come in Danimarca o in Olanda. Le due importanti riforme strutturali dell’ultimo decennio, la legge 92 del 2012 e il Jobs Act, hanno coniugato nuove dosi di flessibilità, ma questa volta con investimenti corposi nella protezione dei lavoratori, con risultati tangibili». Secondo i dati del Rapporto Inps, nel 2016 con l’entrata a regime della Naspi la spesa per questa forma di protezione è arrivata a 15,6 miliardi, mentre nel 2018 è scesa a 15 miliardi a fronte di entrate contributive per 5,7 miliardi. «Più di recente, il decreto dignità ha corretto alcuni eccessi della liberalizzazione dei contratti a termine – ha aggiunto Sacchi – senza però stravolgere l’impianto della riforma Fornero e del Jobs Act, per quanto riguarda la liberalizzazione del contratto a tempo indeterminato. Al tempo stesso, è stato rafforzato l’investimento fatto nella costruzione di una rete di protezione avviata con il Reddito di inclusione e con l’introduzione del Reddito di cittadinanza. Il lungo ciclo di riforme del lavoro e del welfare dell’ultimo decennio consegna all’Italia un mercato del lavoro più flessibile, con luci ed ombre, ma nel quale i lavoratori sono certamente più protetti che in passato».

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