Rapporti di lavoro

Niente licenziamento se dal comporto non viene escluso il permesso della 104

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di Giampaolo Piagnerelli

Illegittimo il licenziamento del dipendente che non ha superato il periodo di comporto in quanto il datore non ha considerato che una giornata di assenza era legata ai permessi della legge 104/92. Lo chiarisce la Cassazione con la sentenza n. 3065/2016.

La vicenda - La Corte si è trovata alle prese con una lavoratrice che, in forza del superamento dei 120 giorni di aspettativa riconosciuti, non si era presentata sul luogo di lavoro e pertanto l'azienda l'aveva licenziata sul presupposto che avesse superato il periodo di comporto. Il ragionamento seguito dalla società, tuttavia, non teneva conto della circostanza che la dipendente fosse affetta da handicap e che proprio nel periodo di assenza le erano stati riconosciuti i benefici della legge 104/1992. In estrema sintesi la lavoratrice terminava il periodo di aspettativa il giorno 18 aprile 2013 ma il giorno successivo non aveva ripreso servizio. La Corte ha condiviso pienamente la lettura fornita dai giudici di merito e cioè che il giorno di assenza del 19 aprile era legato alla fruizione di un giorno di permesso legato alla legge 104.

Punto a favore del dipendente - La lavoratrice, peraltro, ha puntualizzato di aver chiesto i permessi fin dal 29 marzo 2013 alla società ricorrente e che proprio il giorno 18 aprile le erano stati accordati. Il datore aveva eccepito, infine, che per poter beneficiare dei permessi il lavoratore dovesse essere prima rientrato in servizio. Tesi questa bocciata dai Supremi giudici secondo cui la fruizione dei permessi ex lege 104/1992 non presuppone un previo rientro in servizio dopo un periodo di assenza per malattia o aspettativa ma soltanto l'attualità del rapporto di lavoro. Respinto pertanto il ricorso della società con contestuale reintegra del lavoratore nel posto di lavoro e condanna del datore al versamento delle spese e anche del contributo unificato.

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