Rapporti di lavoro

Riposi mancati, il danno è da dimostrare

di Aldo Monea

Il riposo settimanale è un diritto irrinunciabile di ogni lavoratore, che deve coincidere, tendenzialmente, con la domenica ed essere goduto in 24 ore consecutive. La sua fruizione è rinviabile, ma in un arco di tempo, in media, di 14 giorni. In questo caso il dipendente ha, però, diritto a un compenso sia per il lavoro domenicale, sia per la gravosità del lavoro oltre i sei giorni consecutivi.

A parte l’irrinunciabilità che vale per tutti i dipendenti, queste regole non si applicano ad alcune categorie, come, ad esempio, il personale di volo o quello del settore marittimo. Alcune regole, poi (la fruizione settimanale e il riposo domenicale) sono derogabili per alcune attività o per effetto della contrattazione collettiva.

L’inosservanza dell’obbligo di riposo settimanale, qualora sia inderogabile, dà luogo al risarcimento dei danni e a sanzioni amministrative a carico del datore di lavoro (articolo 18-bis, comma 3, Dlgs 66/2003).

I principi fondamentali di questa materia sono dettati dall’articolo 36 della Costituzione e dall’articolo 9 del Dlgs 66/2003.

La giurisprudenza ha poi precisato ulteriori profili. La Corte costituzionale ha stabilito che il riposo settimanale non può essere frazionato, essendo la consecutività delle 24 ore un suo elemento essenziale (sentenza 102/1976). Secondo la stessa Corte, è fruibile in un giorno non festivo, ma solo se è mantenuta la durata del riposo giornaliero (al quale quello settimanale si aggiunge e non si sostituisce) sia nel giorno che precede sia in quello che segue le 24 ore di riposo settimanale.

La sezione Lavoro della Cassazione ha approfondito varie altre questioni, come le conseguenze del mancato godimento, le tipologie di danno derivante e i profili di prova di quest’ultimo. La sentenza 15699 del luglio 2015 ha precisato che il danno per mancato riposo settimanale può essere: da “usura psicofisica” e alla salute; biologico. Solo il danno da usura psicofisica e alla salute è presunto, essendo l’interesse del lavoratore leso dall’inadempimento già previsto dall’articolo 36 della Costituzione, ed espone il datore al risarcimento del danno non patrimoniale.

Nella pronuncia 14710/2015, la Cassazione ha stabilito che la misura del risarcimento da usura psicofisica per mancato riposo sia da stabilire con valutazione motivata del giudice, che tenga presente la gravosità delle prestazioni lavorative, eventuali strumenti affini della disciplina collettiva e clausole collettive sul risarcimento riconosciuto al lavoratore.

La sentenza 26398/2013 ha negato il risarcimento per lavoro oltre i sei giorni consecutivi, stabilendo che il diritto incondizionato al risarcimento spetta solo in caso di effettiva perdita del riposo e non nelle ipotesi di lavoro oltre sei giorni in cui rilevi solo un ritardo della pausa di riposo.

In base alla decisione 14940/2014, poi, non c’è lesione del diritto al riposo se il sistema dei turni, nel suo complesso, crea una situazione più favorevole al dipendente.

La sentenza 23624/2010 ha, invece, negato il risarcimento a una lavoratrice domestica che non aveva provato l’effettivo lavoro nei giorni di riposo settimanale.

Altre sentenze, infine, hanno approfondito l’istituto della reperibilità, cioè l’obbligo del lavoratore di mantenersi a disposizione per un’eventuale prestazione lavorativa nel giorno del riposo settimanale. Così la decisione 11727/2013 ha ritenuto che la reperibilità passiva (cioè quella senza effettivo lavoro) non dà diritto, per legge, al riposo compensativo, ma, al più, a una specifica maggiorazione economica, mentre la reperibilità consistente in lavoro effettivo, invece, dà luogo a riposo in un altro giorno. In base alla sentenza 18310/2011, infine, il lavoratore che pretende un risarcimento del danno da usura psicofisica per il disagio subito a causa della reperibilità in un giorno festivo, deve allegare e provare questo danno.

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