Appalti pubblici, via libera al «contratto leader»
Negli appalti pubblici si applica il "contratto leader" in relazione al settore e alla zona in cui si eseguono le prestazioni.
Questo, in sostanza, il «messaggio» contenuto nella circolare dellla direzione generale per l’attività ispettiva del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (la n. 14775 del 26 luglio 2016), indirizzata agli organi di vigilanza, che richiama l'attenzione sulla norma del nuovo Codice dei Contratti che stabilisce il principio secondo cui "al personale impiegato nei lavori oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l'attività oggetto dell'appalto o della concessione svolta dall'impresa anche in maniera prevalente" (art. 30, c. 4, D.Lgs. 50/2016).
Una precisazione necessaria, quindi, quella del Ministero, anche alla luce della tendenza nell'ambito degli appalti pubblici ad utilizzare tipologie contrattuali che determinano un'illegittima alterazione dei principi di concorrenza e di parità di trattamento, principi che devono invece fare da "guida" alle singole fasi di affidamento ed esecuzione dei lavori.
Ma come va individuato il "contratto leader" applicabile dall'appaltatore?
Per l'Attività Ispettiva occorre innanzitutto far riferimento alla sfera di applicazione contrattuale: essa deve essere strettamente connessa con l'attività oggetto dell'appalto, anche in maniera prevalente. A tal proposito viene preso ad esempio il caso degli appalti per lavori edili e quanto istruito con la nota 1° luglio 2015 n. 10565 del Ministero del Lavoro secondo cui è l'attività "dedotta in misura prevalente nel disciplinare di gara" (in quel caso qualificata come edile) che determina l'applicazione del CCNL di settore, con conseguente obbligo di iscrizione alla Cassa Edile.
Inoltre, deve trattarsi di un CCNL sottoscritto "dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale". Tale inciso ha la precipua finalità di operare, nell'ambito di un sistema di pluralismo sindacale in cui vigono più contratti per una medesima categoria, una selezione dei contratti collettivi nazionali di lavoro sulla base della maggiore rappresentatività comparata dei soggetti che li hanno stipulati.
In tema di indici sintomatici di rappresentatività sindacale vi è oramai un consolidato orientamento giurisprudenziale più volte richiamato dalla stessa Direzione Generale del Ministero del Lavoro: si veda, ad esempio, la lettera circolare n. 10310 del 1° giugno 2012 relativa, in particolare, al settore cooperativistico (sulla cui legittimità si è espresso il TAR Lazio con la sentenza del 7/8/2014).
Nel settore cooperativistico esiste inoltre una norma, l'art. 7, c. 4, del D.L. 248/2007, conv. in L. 31/2008, - dichiarata legittima dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 51/2015 - che stabilisce che le imprese cooperative sono tenute ad applicare "i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria".
La circolare ministeriale non si sofferma sugli altri settori (Industria, Artigianato, Commercio), dove pure esistono casi di più contratti collettivi per ogni categoria (basti pensare all'Edilizia, Servizi di Pulizie, Trasporti, Installazione e Manutenzione di Impianti, ecc.), peraltro sottoscritti dalle medesime organizzazioni sindacali di categoria dotate del requisito della maggiore rappresentatività comparata. Tuttavia, è evidente che una lettura costituzionalmente orientata del citato art. 30, c. 4, D.Lgs. 50/2016 non può che far propendere per il principio della sussistenza di un "contratto leader" per ciascuno dei settori suddetti.