Niente indennità di maternità al padre libero professionista
A poca distanza da un precedente intervento (Cass. Sez. Lavoro, n. 8594, 2 maggio 2016) la Cassazione, con la sentenza n. 11129 del 30 maggio 2016, torna sulla questione della possibile attribuzione dell'indennità di maternità di cui all'articolo 70 del Dlgs n. 151/2001 a favore di un libero professionista (avvocato), in alternativa alla madre. Rispetto alla precedente decisione, pur non mutando l'orientamento (nel senso del non riconoscimento del diritto), la sentenza merita una segnalazione essendo la questione trattata da una prospettiva diversa rispetto alla precedente. Nella sentenza n. 8594, infatti, la vicenda era esaminata sotto il profilo della tutela dell'interesse del figlio, alla luce dei principi costituzionali. Qui invece l'esame si incentra quasi esclusivamente sulla normativa sovranazionale, alla ricerca di un principio o di una serie di principi che, nelle intenzioni dell'istante, possano legittimare il superamento degli ostacoli normativi interni, come confermati oltre tutto dalla lettura proposta dalla Corte costituzionale. In particolare, le norme europee invocate riguardano le disposizioni della Carta di Nizza disciplinanti la fattispecie in esame, in quanto immediatamente applicabili con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona che le aveva incluse nell'ambito materiale del diritto dell'Unione: art. 2 (sulla discriminazione di genere); art. 3 (sul sostegno alla famiglia e la parità tra donne e uomini); art. 23 (sulla protezione della famiglia); art. 33 (sul diritto al congedo di maternità retribuito e al congedo parentale); art. 52 (sull'attuazione dei principi da parte di atti legislativi dell'Unione o di Stati membri).
La Cassazione è dunque chiamata a misurarsi con la dimensione europea della tutela della genitorialità, non senza comunque premettere che i principi della Carta hanno diretta applicazione (o natura precettiva) quando una normativa nazionale rientra nell'ambito del diritto dell'Unione e l'applicabilità del diritto dell'Unione implica quella dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta. In altre parole, non si tratta di estendere l'ambito di applicazione del diritto dell'Unione al di là delle competenze di questa, ma di verificare se la normativa nazionale interessata abbia lo scopo di attuare una disposizione del diritto dell'Unione. Se esistono situazioni specifiche disciplinate dal diritto dell'Unione vi si possono applicare i principi dettati e garantiti nell'ordinamento giuridico dell'Unione, altrimenti tali principi non possono essere direttamente invocabili in giudizio. Limitata così la portata dei riferimenti, la Cassazione riduce complessivamente anche l'impatto delle doglianze del ricorrente, non essendo possibile stabilire quali siano le norme cogenti del diritto dell'Unione che siano state violate nella fattispecie in esame. Il ragionamento, allora, si snoda sulla questione della liceità di un trattamento di vantaggio a favore della lavoratrice rispetto alle ragioni del padre lavoratore (professionista). Sul punto la specifica Direttiva n. 2000/78/CE, assieme alla n. 41/2010, legittimano l'attribuzione dell'indennità alla sola madre lavoratrice autonoma o convivente di lavoratori autonomi, allorché essa partecipi abitualmente all'attività autonoma del padre, senza esserne salariata o socia. Ma la stessa normativa nazionale ritenuta ostativa (art. 70 del Dlgs n. 151/2001), in realtà non è in contrasto con i principi contenuti nella carta di Nizza, nella quale si legge (art. 33) che ogni individuo ha diritto a un congedo di maternità retribuito e a un congedo successivo alla nascita/ingresso in famiglia del minore. In realtà, dunque, il quadro che emerge suggerisce l'assenza di ostacoli all'adozione di misure che rappresentino vantaggi a favore del sesso femminile (art. 23 della Carta); non può pertanto essere posta in comparazione la situazione della donna avvocato rispetto a quella del padre che svolge identica attività lavorativa, senza contare il fatto che l'indennità economica prevista per le donne avvocato assolve alla funzione prevista a favore delle lavoratrici dipendenti dall'astensione obbligatoria, nell'ottica di tutela della salute della madre, in una situazione evidentemente non esportabile al padre coniuge di lavoratrice autonoma. Insomma, seppure affrontata in una dimensione sovranazionale, la questione della parità deve essere comunque letta alla luce della differente situazione della madre e della sua salute rispetto a quella del padre, per cui solo in casi eccezionali (morte, grave infermità, abbandono) può essere attribuita al padre lavoratore (oltre tutto dipendente e non autonomo/professionista) l'indennità di maternità – al netto delle estensioni in questo senso previste per il padre lavoratore autonomo dall'art. 5 del Dlgs n. 80/2015, che ha modificato l'art. 28 del Dlgs n. 151/2001 (art. 1 ter), ma senza efficacia retroattiva.
Il Collegato lavoro in attesa dell’approvazione in Senato
di Andrea Musti, Jacopomaria Nannini