Il decreto fiscale traccia i confini tra trasferta e trasfertismo del lavoratore
Ci son voluti quasi vent'anni per risolvere un problema che forse non esisteva. Il tema del cosiddetto “trasfertismo” aveva il pregio di essere stato introdotto con una sentenza della Corte costituzionale (n. 239 del 13 maggio 1993) che aveva associato la definizione a quelle figure professionali che svolgevano la propria attività in luoghi sempre variabili e diversi.
Anche in risposta a tale qualificata definizione, la riforma Visco con il Dlgs n. 314/97 ha introdotto una distinzione di trattamento tra il regime fiscale della trasferta rispetto al trasfertismo, il regime da applicarsi alle attività svolte in luoghi sempre variabili e diversi. Tale fattispecie è stata associata dalla circolare n. 326 del 1997 alla volontà delle parti contrattuali di fissare o meno una sede di lavoro, da rendere evidente nella lettera di assunzione.
La declinazione formalista del trasfertismo, surrogata nella lettera di assunzione del riferimento a una sede di lavoro, è stata contestata dall'Inps a livello territoriale, in autonomia (e contrasto) rispetto alle indicazioni fornite a livello centrale.
La direzione nazionale Inps, infatti, con messaggio n. 27271 del 5 dicembre 2008, aveva delineato il cosiddetto trasfertismo ma, non esistendo una normativa e una definizione specifica, si è resa legittima un'autonoma interpretazione dei fatti accertati e la maggiore applicazione dell'articolo 51,comma 6, del Tuir.
Cosa prevede il Tuir
L'articolo 51, comma 6 del Tuir dispone che «le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto all'espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuità, le indennità di navigazione e di volo previste dalla legge o dal contratto collettivo, nonché le indennità di cui all'articolo 133 del decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 1959, n. 1229 concorrono a formare il reddito nella misura del 50 per cento del loro ammontare. Con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, possono essere individuate categorie di lavoratori e condizioni di applicabilità della presente disposizione».
Tale norma fu interpretata dall'allora ministero delle Finanze con la già citata circolare n. 326 del 1997, che ha radicato la distinzione su uno schema pattizio: il datore poteva assegnare o negare una sede di lavoro al lavoratore subordinato e tale espressione di volontà poteva essere provata attraverso la lettera di assunzione.
Agli stessi parametri è stata vincolata l'attività di interpretazione ufficiale dell'Inps a livello centrale, con eccezioni da parte dei servizi ispettivi operanti sul territorio che hanno favorito un contenzioso ottenendo spesso il riconoscimento delle proprie ragioni.
A partire dal 2012, si è sviluppato un orientamento giurisprudenziale (valga per tutte la sentenza Cass. civ. Sez. lavoro, 07/10/2013, n. 22796) secondo cui la natura del trasfertista discende dalla effettiva modalità di svolgimento della prestazione di lavoro e, in particolare, dall'assenza di un luogo di lavoro abituale.
In base a tale principio, sono stati considerati legittimi quei recuperi contributivi attuati dall'Inps, in particolare nel settore edile e manutenzione metalmeccanica, in relazione alle trasferte riconosciute a lavoratori privi di una sede di lavoro abituale.
La norma di interpretazione autentica
Il nuovo articolo 7 quinquies inserito nel Dl n. 193/2016 definisce i trasfertisti come quei lavoratori par i quali contestualmente sussistono tre requisiti: 1) assenza della sede di lavoro espressamente indicata nel contratto o nella lettera di assunzione; 2) continua mobilità per esigenze lavorative; 3) indennità fissa in relazione alle attività di cui al punto precedente, a prescindere dalla verifica dell'attività effettivamente svolta.
A migliore chiarezza, la nuova norma chiarisce che ai soggetti che non presentano i predetti requisiti si applicano le disposizioni relative alle trasferte, regolate dal comma 5 dell'articolo 51, Tuir.
Servono ancora alcuni giorni per ottenere la conversione del decreto e potere, quindi, considerare archiviata la diatriba. Si potranno, dunque, rimettere indietro le lancette di vent'anni, visto e considerato che la norma di interpretazione autentica riproduce le indicazioni già formulate con la circolare n. 326 del 1997.