Contenzioso

Annullato dal Consiglio di Stato il contributo da pagare per i permessi di soggiorno

di Andrea Costa

Il 2016 ha rappresentato un anno fondamentale per il riconoscimento delle tutele dei lavoratori che regolarmente accedono nel nostro Paese e che intendono integrarsi nel nostro tessuto sociale ed economico. Già il 24 maggio scorso il Tar del Lazio aveva ritenuto incompatibile con i principi dell'Unione europea la previsione di un contributo variabile dagli 80 ai 200 euro per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno.

Più nello specifico, l'articolo 5, comma 2-ter del testo unico dell'immigrazione prevedeva che la richiesta di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno fosse sottoposta al versamento di un contributo, il cui importo è stato successivamente fissato dal Dm 6 ottobre 2011. Se da un lato non veniva richiesto il versamento del contributo per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno per asilo, per richiesta di asilo, per protezione sussidiaria e per motivi umanitari, lo stesso non poteva dirsi per le altre tipologie, con la previsione di importi crescenti in funzione della durata del permesso:

-80 euro per i permessi di soggiorno di durata superiore a 3 mesi e inferiore o pari a 1 anno;
-100 euro per i permessi di soggiorno di durata superiore a 1 anno e inferiore o pari a 2 anni;
-200 euro per il rilascio del permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo;
-200 euro per i distacchi di dirigenti o personale altamente specializzato.

L'incompatibilità di tale legislazione con i principi e le regole del diritto dell'Unione europea sono parsi sin da subito palesi, soprattutto con riferimento ai soggiornanti di lungo periodo, ai quali viene riconosciuto uno status analogo (ma non coincidente) a quello previsto per i cittadini dell'Unione, che beneficiano della piena libertà di circolazione.
Richiamando la sentenza del 2 settembre 2015, in causa C-309/14, della Corte di giustizia dell'Unione europea, il Tar Lazio – con la sentenza 6095 del 25 maggio 2016 – ha considerato “sproporzionato” il contributo di 200 euro per la gestione amministrativa del permesso di soggiorno dei soggiornanti di lungo periodo e tale da inficiare l'efficacia della direttiva 2003/109/Ce. Occorre dare merito al Tar Lazio di aver compiuto un passo ulteriore, considerando sproporzionati anche i contributi richiesti per le altre tipologie di visto, sul presupposto che per poter ottenere il visto per soggiornanti di lungo periodo è necessario il possesso di almeno 5 anni di soggiorno regolare sul territorio. La previsione di contributi troppo elevati (rispetto a quanto richiesto per un normale cittadino per ottenere la documentazione di identità) per il rilascio e rinnovo di permessi di breve durata è tale da introdurre importanti ostacoli alla maturazione dei 5 anni necessari per poter beneficiare delle prerogative assicurate dalla direttiva 2003/109/Ce.

Tale impostazione è stata successivamente confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza della terza sezione, numero 4487/2016REG. PROV.COL. e 07047/2016 REG. RIC. del 26 ottobre 2016, con la conseguenza che le amministrazioni competenti dovranno rideterminare l'importo dei contributi dovuti nell'esercizio della loro discrezionalità, in modo tale che la loro equilibrata e proporzionale riparametrazione non costituisca un ostacolo all'esercizio dei diritti riconosciuti dalla direttiva 2003/109/Ce.

Con la nota 43699 del 26 ottobre 2016 il ministero dell'Interno ha preso atto della pronuncia e ha chiarito che «gli stranieri interessati al rilascio ed al rinnovo del permesso di soggiorno non dovranno assolvere al pagamento degli importi previsti dall'articolo 5,comma 2 ter, del Tui fermo restando l'obbligo del versamento relativo al costo del pse così che tutte le istanze comprese quelle giacenti in fase istruttoria o in attesa di consegna del titolo dovranno essere portate a compimento prive del citato contributo».

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