Pensione di reversibilità anche in caso di separazione con addebito
Non rileva il motivo della separazione ai fini del diritto alla pensione di reversibilità a favore del coniuge separato, essendo la prestazione di reversibilità collegata unicamente all'esistenza del rapporto coniugale col defunto pensionato o assicurato.
È questo il principio ribadito dalla Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza 2606 del 2 febbraio 2018, a conferma di un orientamento consolidato che, dopo l'intervento chiarificatore della Corte costituzionale (sentenza 286/1987), ha sancito l'equiparazione sotto ogni profilo del coniuge separato per colpa, o con addebito, al coniuge superstite (separato o non separato).
La sentenza della Corte costituzionale 286/1987 ha definitivamente focalizzato l'attenzione sulla vera natura del rischio che intende proteggere la pensione di reversibilità: tale prestazione appartiene, infatti, al più ampio genus delle pensioni ai superstiti, e costituisce una forma di tutela previdenziale nella quale l'evento protetto è la morte, cioè, un fatto naturale che, secondo una presunzione legislativa, crea una situazione di bisogno per i familiari del defunto, i quali sono i soggetti protetti (da qui l'acquisto iure proprio).
Per questo le norme che, prima dell'intervento della Corte, escludevano dall'attribuzione della pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa o con addebito della separazione sono state dichiarate incostituzionali, attesa l'evidente e ingiustificata disparità di trattamento nel settore privato rispetto al coniuge divorziato, alla luce dei principi ispiratori della tutela previdenziale (articoli 3 e 38 della Costituzione).
In senso più ampio, infatti, l'evoluzione legislativa di questo istituto, così come l'equiparazione ormai raggiunta tra settore privato e settore pubblico, consentono di qualificare la pensione di reversibilità come una forma di tutela previdenziale ed uno strumento necessario per il perseguimento dell'interesse della collettività alla liberazione dal bisogno e alla garanzia di quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono l'effettivo godimento di diritti civili e politici (articolo 3, secondo comma, della Costituzione) riconoscendo comunque al lavoratore un trattamento preferenziale (articolo 38, secondo comma, della Costituzione) rispetto alla generalità dei cittadini (articolo 38, primo comma, della Costituzione).
La sentenza della Cassazione aggiunge a queste conclusioni qualcosa in più: dopo l'intervento della Corte costituzionale, non residua alcuno spazio per ritenere che vi possa comunque essere una differenza di trattamento per il coniuge separato determinata dal titolo o dalla causa della separazione. Ciò che rileva è la necessità di assicurare la continuità dei mezzi di sostentamento che il defunto in qualche modo assicurava al coniuge in stato di bisogno anche in stato di separazione per la quale potevano ravvisarsi profili di addebito.
Quindi, nel silenzio del legislatore sul punto (al netto della propria discrezionalità), la Cassazione può affermare con decisione che non vi sono nell'ordinamento requisiti particolari che condizionano il trattamento di reversibilità nel caso in cui a richiederlo sia il coniuge separato per colpa o con addebito. Può quindi applicarsi direttamente il precetto contenuto nell’articolo 22 della legge 903/1965 (norma che ha sostituito l'articolo 13 della legge 218/1952), che prevede, nel caso di morte del pensionato o dell'assicurato, il diritto alla pensione al coniuge e ai figli superstiti che, al momento della morte del pensionato o dell'assicurato, non abbiano superato l'età di 18 anni e ai figli di qualunque età riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi. Per il coniuge, a differenza di quanto accade per i figli di età superiore ai 18 anni, per i genitori superstiti e per i fratelli e sorelle del defunto, non è dunque richiesta la vivenza a carico al momento del decesso del coniuge e/o lo stato di bisogno. Ciò che rileva è unicamente il legame coniugale.
Viene dunque confermata la ratio della protezione accordata dal trattamento di reversibilità, finalizzata a porre il coniuge superstite in condizione di evitare le ripercussioni negative di un eventuale stato di bisogno, che non occorre sia conclamato o dimostrato, e che, soprattutto, non costituisce concreto presupposto e condizione della tutela offerta da questa prestazione. E naturalmente tutto ciò vale anche per il coniuge separato con o senza addebito, circostanza che a questo punto assume carattere irrilevante.