Costo del personale indeducibile se c’è truffa ai danni dell’Inps
Nella fattispecie trattata dall'ordinanza 8 ottobre 2018, numero 24646, della Corte di cassazione, una società aveva assunto lavoratori provenienti dalla società madre attingendo dalle liste di mobilità per poter usufruire delle agevolazioni di tipo contributivo ed economico previste per il ricollocamento del personale in mobilità dall'articolo 8 della legge 23 luglio 1991, numero 223, vigente ratione temporis (articolo oggi abrogato, a far data dal 1° gennaio 2017, dall'articolo. 2, comma 71, lettera b, della legge 28 giugno 2012, numero 92).
Dette agevolazioni erano state tuttavia indebitamente acquisite in quanto era stato violato il divieto previsto dal comma 4-bis dell’articolo 8 della legge 223/1991, il quale preclude il diritto ai benefici economici con riferimento a tutti quei lavoratori che siano stati collocati in mobilità, nei sei mesi precedenti, da parte di impresa dello stesso o di diverso settore di attività che, al momento del licenziamento, presenta assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell'impresa che assume ovvero risulta con quest'ultima in rapporto di collegamento o controllo. Secondo tale disposizione, l'impresa che assumeva i lavoratori in mobilità doveva inoltre dichiarare, sotto la propria responsabilità, all'atto della richiesta di avviamento, che non ricorrevano le menzionate condizioni ostative.
A seguito indagini giudiziarie, il pubblico ministero esercitava l'azione penale, ritenendo che la condotta potesse integrare il delitto di truffa aggravata ai sensi dell'articolo 640, comma 2, numero 1, del codice penale, il quale punisce con la reclusione e la multa la truffa perpetrata ai danni dello Stato o di un altro ente pubblico.
In base alle medesime circostanze, l'amministrazione finanziaria recuperava il costo del personale collocato in mobilità il quale, avendo scontato agevolazioni contributive riconosciute dall'Inps, era da ritenersi collegato alla fattispecie delittuosa.
Sviluppo processuale
Ne è seguito processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, a cui ha fatto seguito il relativo avviso di accertamento ai fini Ires e Irap, con il quale veniva recuperato a tassazione, appunto, detto costo del personale collocato in mobilità, al supposto fine preordinato ad operare fraudolente assunzioni in aziende del medesimo gruppo, per fruire di indebite agevolazioni contributive previste per il ricollocamento di personale in mobilità, riconosciute dall'Inps.
La Commissione tributaria regionale, preso atto che la decisione di primo grado che aveva accertato che nella fattispecie si era indubbiamente realizzata una truffa ai danni dell'Inps, ha ritenuto non sussistere alcuna rilevanza di carattere tributario nel vantaggio contributivo acquisito dalla società, per cui ha considerato non pertinente l'applicazione dell'articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, numero 537/1993. Pertanto ha confermato la decisione impugnata che aveva ritenuto deducibili il costo del lavoro della società, documentato dalla sua contabilità e correlativa appostazione in bilancio, «secondo i corretti canoni della inerenza».
Nel conseguente ricorso per Cassazione, l'amministrazione finanziaria deduce violazione di legge per errata applicazione dell'articolo 14, comma 4- bis, della legge 537/1993.
La decisione
Capovolgendo l'esito dei due gradi di merito, la Cassazione, accogliendo il ricorso erariale, afferma che è indeducibile ai fini delle imposte sui redditi il costo del personale collocato in mobilità se lo sgravio è incassato dall'azienda con una truffa ai danni dell'Inps. Ciò in quanto nel caso di specie il costo era direttamente connesso alla fattispecie di reato (truffa ai danni dell'Inps) e quindi indeducibile ai sensi dell'articolo 14 della legge 537/1993.
Tale articolo, al comma 4-bis, dispone che nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del Dpr 22 dicembre 1986, numero 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ovvero sentenza di non luogo a procedere fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato.
La giurisprudenza di legittimità ha stabilito al riguardo che in tema di imposte sui redditi, ai sensi dell'articolo 14, comma 4-bis, della legge 537/1993, come modificato dall'articolo 8, comma 1, del Dl 2 marzo 2012, numero 16, devono ritenersi costo o spesa direttamente "utilizzati" per il compimento del delitto, e in quanto tali non deducibili, anche quelli sostenuti in un momento successivo al perfezionamento della fattispecie delittuosa ogni qual volta il loro sostenimento trovi titolo nell'assunzione, da parte dell'agente, di una obbligazione strutturalmente funzionale alla realizzazione del delitto (Cassazione. 17 dicembre 2014, numero 26461; 28 dicembre 2017, numero 31059).
Peraltro, anche in tema di Iva, trova applicazione il principio, posto dalla disposizione dell'articolo 14, comma 4 (di per sè riferita alla disciplina delle imposte sui redditi), secondo cui i proventi provenienti da attività illecita sono assoggettabili ad imposizione (Cassazione 12 marzo 2002, numero 3550; 26 luglio 2017, numero 18495).
Pertanto, disattendendo il non corretto operato della decisione di appello, sottolinea la Cassazione che nel caso trattato il costo relativo al reclutamento del personale, collocato nelle liste di mobilità dell'azienda madre della società contribuente e da questa assunto, nonostante fosse stato regolarmente sostenuto e appostato in bilancio, era direttamente connesso alla fattispecie di reato di truffa ai danni dell'Inps e quindi indeducibile.