Patto di prova nullo con reintegra
Anche nel vigore del contratto di lavoro a
Questo principio è stato affermato dal Tribunale di Milano con sentenza del 3 novembre 2016, nella quale si è ritenuto che, posta l’invalidità del recesso datoriale in quanto basato su un patto di prova rivelatosi insussistente, il provvedimento datoriale di recesso dovesse essere equiparato alla fattispecie del licenziamento disciplinare privo di consistenza nella sua dimensione materiale, secondo la disciplina prevista dal decreto sul contratto a tutele crescenti.
A tale proposito, il Dlgs 4 marzo 2015, n. 23, che costituisce uno dei cardini centrali su cui si regge tutta l’impalcatura della riforma del mercato del lavoro introdotta con il Jobs Act, ha previsto un apparato sanzionatorio essenzialmente basato su un meccanismo risarcitorio a tutele progressive, così congegnato: per ogni anno di anzianità aziendale, in presenza di un licenziamento invalido, si maturano due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr, partendo da un minimo di quattro mensilità.
Tralasciando la categoria del licenziamento radicalmente nullo (ad esempio, discriminatorio o in costanza di matrimonio), al quale non si applicano tout court le tutele crescenti, la nuova normativa ha previsto il rimedio della reintegrazione in un’unica ipotesi residuale, nel caso in cui sia stata direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale alla base del licenziamento disciplinare.
Il giudice del lavoro di Milano ha ritenuto che il licenziamento illegittimo per mancato superamento del periodo di prova - individuato come tale per non essere stata dimostrata dal datore di lavoro la sottoscrizione della lettera di assunzione contenente il patto sul periodo di libera recedibilità dal rapporto - vada ricondotto a quest’ultima residuale fattispecie (articolo 3, comma 2, Dlgs 23/2015) in cui si applica la reintegrazione anche per i contratti di lavoro a tutele crescenti.
Il giudice meneghino non spiega le ragioni per le quali abbia ritenuto di ricondurre nell’alveo del licenziamento disciplinare il recesso datoriale intimato sull’errato presupposto dell’esistenza di un periodo di prova, limitandosi ad evidenziare che il licenziamento risultava privo di giustificazione. Dalla rilevata mancanza di giustificazione del recesso, a sua volta frutto della ritenuta nullità del patto di prova, il giudice fa discendere il rimedio della tutela reintegratoria ex articolo 3, comma 2, del Dlgs 23/2015, che si applica al caso in cui il fatto materiale alla base del licenziamento disciplinare sia risultato insussistente.
La decisione del magistrato meneghino, che fa seguito ad un precedente analogo del Tribunale di Torino, finisce per ridurre significativamente l’ambito di estensione delle tutele crescenti perché riconnette alla sanzione reintegratoria i casi di licenziamento illegittimo intimato in periodo di prova, dalla norma non previsti. La sentenza introduce elementi di incertezza rispetto all’applicazione di un apparato sanzionatorio incentrato sul riconoscimento di un indennizzo risarcitorio in misura fissa e pretedefinita (appunto, le tutele crescenti), dal quale la reintegrazione doveva sin qui ritenersi confinata ad ipotesi veramente residuali.
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