Niente reintegra se la prova viene fatta con mansioni diverse
Se è stato accertato lo svolgimento di mansioni diverse da quelle previste nel patto di prova, il licenziamento del lavoratore nel periodo di “libera recedibilità” non comporta l'applicazione del regime reintegratorio per il licenziamento illegittimo, ma il più limitato rimedio del risarcimento del danno parametrato al pregiudizio sofferto per essere il periodo di prova rimasto inadempiuto.
La Cassazione ha espresso questo principio con la sentenza 31159/2018 nella quale ha rimarcato che solo la previsione di un patto di prova illegittimo produce l'effetto della conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro e la conseguente applicazione del rimedio della reintegrazione, per essere stato il licenziamento intimato in assenza di giusta causa o di giustificato motivo.
Vanno tenuti ben distinti, osserva la Suprema corte, il caso del licenziamento intimato nell'ambito di un patto di prova illegittimamente costituito, nel quale la clausola appositiva del patto di prova viene espunta dal contratto e il rapporto prosegue a tempo indeterminato, da quello nel quale il licenziamento accede a un patto di prova valido. A conforto di questa lettura, la Cassazione richiama le ipotesi di nullità genetica del patto di prova per assenza di comunicazione scritta anteriore all'inizio della prestazione e per mancata (o generica) indicazione delle mansioni oggetto di valutazione, nonché l'ipotesi del recesso in prova nell'ambito di una successione di contratti. In tutti questi casi, concludono i giudici, il patto non si considera validamente apposto e il licenziamento intimato su tale presupposto risulta illegittimo per assenza di una valida giustificazione.
Viceversa, nel caso in cui a essere contestata non è la validità del patto di prova, ma l'assegnazione al lavoratore di mansioni diverse da quelle che dovevano costituire oggetto della valutazione datoriale sulle capacità professionali e sulle attitudini del dipendente, la sola conseguenza risiede nel diritto del lavoratore a essere indennizzato del pregiudizio sofferto. In altre parole, conclude la Cassazione, non trova applicazione il regime ordinario del licenziamento individuale, bensì lo speciale regime (di elaborazione giurisprudenziale) del recesso in periodo di prova, tale per cui al dipendente deve essere consentito, ove possibile, lo svolgimento del periodo di lavoro per la durata prevista nel patto, oppure liquidato il risarcimento del pregiudizio sofferto.
Sulla scorta di questi principi, è stata riformata la sentenza della Corte d'appello in base alla quale, per non essere stato consentito lo svolgimento delle mansioni indicate nel patto di prova, il rapporto di lavoro era stato convertito a tempo indeterminato e il licenziamento accostato al rimedio della tutela reale previsto dall'articolo 18 dello statuto dei lavoratori. La Cassazione ha confermato, invece, la validità del patto di prova e rinviato alla Corte territoriale affinché, in diversa composizione, provveda alla determinazione del risarcimento del danno dovuto al lavoratore per non essergli stato consentito lo svolgimento delle mansioni oggetto della prova.