Tre indici per il reddito d’impresa
Tris di requisiti per distinguere il reddito d'impresa da quello occasionale: abitualità, professionalità e rilevanza economica dell'attività svolta.
L'articolo 55, comma 1, del Tuir stabilisce che il reddito d'impresa deriva dall'esercizio di un'impresa commerciale, intendendosi per tale lo svolgimento «per professione abituale, ancorché non esclusiva» delle attività indicate dall'articolo 2195 del codice civile e di quelle agricole eccedenti i limiti posti dall'articolo 32 del Tuir, ancorché non organizzate in forma d'impresa.
Nel comma 2, lettera a), sono qualificati come redditi d'impresa quelli derivanti dalle prestazioni di servizi non riconducibili all'articolo 2195 del codice civile organizzate in forma d'impresa (quali quelle didattiche, di cure estetiche e di laboratorio).
Rientrano nella stessa categoria quelli delle società commerciali di persone, delle società di capitali e degli enti commerciali (articoli 6 e 81 del Tuir).
Abitualità e professionalità
Nella circolare 7/1496/1977 il requisito dell'abitualità è stato identificato nel «normale e costante indirizzo dell'attività del soggetto che viene attuato in modo continuativo» ed è stato ritenuto, in sostanza, coincidere con quello della professionalità. L'attività esercitata deve essere, quindi, stabile nel tempo ma non è necessario che sia svolta per l'intero periodo d'imposta: anche l'attività concentrata in un periodo delimitato (c.d. “stagionale”) può essere, infatti, espletata con un grado di ripetitività tale da poter essere considerata stabile (tenendo conto del settore economico).
I requisiti della stabilità e sistematicità evidenziano, quindi, l'intenzione di esercitare l'attività in via abituale. Sono indici di professionalità anche la disponibilità di locali in cui si svolge l'attività, l'ottenimento di una licenza per esercitarla e l'esistenza di contratti di fornitura.
Rilevanza economica
La giurisprudenza della Cassazione ha fatto riferimento anche alla rilevanza economica dell'attività esercitata, ritenendo che se la stessa è destinata a generare un reddito rilevante la sua “frequenza” possa essere apprezzata con minor rigore, purché implichi l'esecuzione di una serie coordinata di atti economici (come nel caso dell'esecuzione di un singolo affare).
Le attività occasionali
I requisiti descritti in precedenza valgono a discriminare le attività da cui deriva reddito d'impresa da quelle produttive di redditi diversi, conseguenti allo svolgimento di «attività commerciali non esercitate abitualmente» (articolo 67, comma 1, lettera i), ossia da quelle episodiche, saltuarie e comunque non programmate.
La prassi e la giurisprudenza si sono più volte occupate dei casi di costruzione e successiva vendita di immobili da parte di privati, ritenendo che anche l'effettuazione di un unico investimento configuri l'esercizio di un'attività d'impresa, se è predisposta un'organizzazione di mezzi e risorse (anche mediante appalto delle opere a terzi).
Locazioni brevi e investimenti in arte
Tale distinzione richiede una valutazione delicata e da effettuare caso per caso, con riferimento a ciascun settore di attività.
Con riguardo all'attività di locazione immobiliare lo stesso legislatore si è mostrato consapevole delle difficoltà degli operatori, prevedendo, nell'articolo 4, comma 3-bis, del Dl 50/2017, l'emanazione di un apposito decreto che stabilisca i criteri in base ai quali la stessa «si presume svolta in forma imprenditoriale», tenendo conto della disciplina del Tuir, del numero delle unità immobiliari locate e della durata delle locazioni nell'anno solare.
Non è stata, invece, ancora regolamentata l'attività di vendita di opere d'arte da parte di privati, in merito alla quale occorrerebbe, per distinguere i semplici collezionisti dai mercanti d'arte, verificare l'esistenza o meno di attività intese a valorizzarle (quali la stima del valore, l'assicurazione, la catalogazione e la “promozione” delle opere).