Vittime della violenza di genere e congedo indennizzato
L'articolo 24 del Dlgs 15 giugno 2015 , n. 80, prevede che le lavoratrici dipendenti del settore pubblico e privato, escluse le lavoratrici del settore domestico, possano avvalersi di un congedo indennizzato per un periodo massimo di 3 mesi al fine di svolgere i percorsi di protezione certificati.
La norma nasce in attuazione dell'articolo 1 della legge n. 183/2014 che, nel delegare il Governo all'adozione di decreti legislativi contenenti misure a tutela della maternità e della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (comma 8), al comma 9 lett. h), indica quale principio direttivo quello dell'introduzione di congedi dedicati alle donne inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere debitamente certificati dai servizi sociali del comune di residenza.
La prestazione è stata poi estesa anche alle lavoratrici autonome dall'articolo 1, comma 241, della legge n. 232/2016 e la prassi applicativa è stata integrata dalla circolare Inps n. 65/2016. Anche se la rubrica dell'articolo 24 citato rimanda ad un congedo generalizzato, la disciplina normativa nel suo complesso prevede l'attribuzione del diritto ad assentarsi dal lavoro per un periodo di tempo determinato alle lavoratrici dipendenti del settore privato e pubblico, (per le quali è prevista anche la concessione di un'indennità economica), alle lavoratrici titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa inserite nei percorsi di protezione (senza indennità), nonché, appunto, alle lavoratrici autonome (legge 11 dicembre 2016, n. 232, art. 1, comma 241).
Nelle intenzioni del legislatore vi è uno stretto collegamento della prestazione con l'attività lavorativa in quanto tra i costi della violenza di genere, oltre a quelli sanitari diretti (cure mediche, farmaci), alle spese legali, alle prestazioni pubbliche erogate, deve essere tenuta in conto l'oggettiva difficoltà, per la vittima della violenza, di continuare o riprendere il lavoro (al di là degli stati di malattia certificati). L'assenza dal luogo di lavoro spesso, infatti, costituisce non l'effetto di una scelta, ma una vera e propria necessità, derivante dalla difficoltà di gestire le attività quotidiane, anche a distanza di tempo dal fatto.
Lo strumento del congedo serve quindi ad aiutare chi ha subito violenza a superare tale situazione di disagio anche sotto il profilo lavorativo.
Le condizioni per accedere al congedo sono rappresentate in sostanza:
1) dalla titolarità di un rapporto di lavoro in svolgimento, con obbligo di prestare attività lavorativa (coincidenza di giornate di prevista attività lavorativa e rapporto di lavoro in essere – non fruibilità dopo la cessazione);
2) dall'inserimento nei percorsi di protezione debitamente certificati dai servizi sociali del Comune di residenza oppure dai centri antiviolenza o dalle case-rifugio di cui all'articolo 5 bis del Dl n. 93/2013 (conv. l. n. 119/2013, Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere): si tratta di strutture promosse da enti locali, associazioni e organizzazioni di settore che operano in maniera integrata con la rete dei servizi socio sanitari e assistenziali, con garanzia dell'anonimato.
In presenza dei presupposti sopra indicati le lavoratrici dipendenti hanno diritto ad astenersi dal lavoro per motivi connessi al percorso di protezione per un periodo massimo di 3 mesi, nell'arco di 3 anni decorrenti dalla data di inizio del percorso di protezione certificato.
La fruizione può avvenire su base oraria o su base giornaliera e, in assenza di regolamentazione in sede di contrattazione, la scelta tra le due modalità spetta esclusivamente alla lavoratrice. Durante il periodo di congedo, la lavoratrice dipendente ha diritto a percepire un'indennità corrispondente all'ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento. L'indennità è giornaliera ed è pari al 100% dell'ultima retribuzione, da calcolarsi sulla base delle soli voci fisse e continuative della retribuzione (per quanto riguarda le lavoratrici autonome è previsto il diritto alla corresponsione di un'indennità giornaliera pari all'80% del salario minimo giornaliero stabilito dall'articolo 1 del decreto-legge n. 402 del 1981).
Il pagamento dell'indennità è anticipato dal datore di lavoro e conguagliato con la contribuzione corrente. La domanda è presentata all'Inps (secondo le modalità indicate dalla circolare n. 65/2016) con comunicazione al datore di lavoro, al quale saranno anche consegnate le certificazioni attestanti il percorso di protezione. Purtroppo, si tratta di uno strumento fino ad oggi scarsamente utilizzato, soprattutto in relazione al gran numero di donne lavoratrici che subiscono forme di violenza.
Le ragioni possono essere molteplici e vanno dalla scarsa pubblicità alla necessità di attivare un percorso pubblico e controllato, e quindi con necessità di superare l'anonimato (il che è conseguenza inevitabile soprattutto in aziende di piccole dimensioni), alla scarsa appetibilità dell'istituto del congedo in sé (situazione che comunque implica l'abbandono sia pure temporaneo dal luogo di lavoro).
Il lato positivo è che comunque tale misura, prevista in via sperimentale per l'anno 2015, in forza del decreto legislativo n. 148 del 14 settembre 2015 è stata estesa anche per gli anni successivi, salve eventuali rideterminazioni da parte del Ministeri vigilanti (articolo 26, commi 2 e 3 del decreto legislativo n. 80/2015).