Anzianità aziendale con effetti limitati quando c’è trasferimento di azienda
In caso di trasferimento di ramo di azienda, il personale addetto al ramo ha il diritto (ma anche il dovere) di passare alle dipendenze dell'acquirente, mantenendo, in base all’articolo 2112 del Codice civile, i diritti relativi al proprio rapporto di lavoro. Fra i diritti che vengono mantenuti in occasione del trasferimento c'è anche quello dell'anzianità, ma ciò non significa che il servizio già prestato verso l'alienante sia parificato, ad ogni e qualsiasi effetto, al servizio prestato presso l'acquirente.
Il punto è stato ben chiarito dalla Corte di cassazione con la sentenza 16135/2018. Alcuni dipendenti di un istituto previdenziale (alienante) sono stati trasferiti (per incorporazione, evento assimilato al trasferimento del ramo di azienda o dell'azienda) ad altro istituto. Quello incorporante ha successivamente dato luogo a un bando nazionale di selezione del personale per superiori inquadramenti. Il requisito di partecipazione al bando era quello di una determinata anzianità di servizio presso l'istituto. Secondo l'istituto acquirente, l'anzianità di servizio rilevante era solo quella maturata verso il medesimo istituto, mentre ad essa non poteva essere assimilata l'anzianità maturata presso l'istituto incorporato.
Invece secondo i giudici di merito, interpellati dai dipendenti “trasferiti”, il trasferimento di azienda per incorporazione faceva sì, secondo l’articolo 2112 del codice civile, che le anzianità maturate prima dell'incorporazione fossero rispettate, di tal che la clausola del bando non poteva escludere i ricorrenti dalla partecipazione alla procedura selettiva.
E a tal fine i giudici di merito hanno invocato la sentenza della Corte di giustizia europea Grande Chambre C-108/2010, la quale ha affermato che, quando un'autorità pubblica si trova a riassumere personale dipendente da altra autorità pubblica, si rientra nell'ambito della nozione di trasferimento d'impresa dettata dalla direttiva 77/187/Ce.
Ma la Corte di cassazione è stata di diverso avviso. Secondo la sentenza 16135 le disposizioni normative come l'articolo 2112 del Codice civile che, nel disciplinare il passaggio dei lavoratori a una diversa organizzazione garantiscono il mantenimento del trattamento economico e normativo acquisito, non implicano la totale parificazione ad ogni effetto della anzianità dei dipendenti trasferiti con quella dei dipendenti già in servizio presso il datore di lavoro di destinazione. I lavoratori trasferiti, secondo la Cassazione, non possono rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario, né possono pretendere un «miglioramento» della loro posizione giuridica ed economica «perché l'ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti, non delle aspettative, già entrati nel patrimonio del lavoratore alla data della cessione del contratto».
Il nuovo datore, pertanto, ben può ai fini della progressione di carriera valorizzare l'esperienza professionale specifica maturata alle proprie dipendenze, differenziandola da quella riferibile alla pregressa fase del rapporto e maturata presso altro ente.
In effetti anche la Corte di giustizia Ue, con la pronuncia del 6 aprile 2017 per la causa C-336/2015, ha ribadito che lo scopo della direttiva è solo quello di assicurare il mantenimento dei diritti già acquisiti dai lavoratori trasferiti e che l'anzianità maturata presso il cedente non costituisce di per sé «un diritto di cui i lavoratori possano avvalersi nei confronti del cessionario».