Contenzioso

Salute e sicurezza, il fallimento non elimina le sanzioni penali

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di Luigi Caiazza

In materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, il sopravvenuto stato fallimentare non fa venir meno l'applicazione delle sanzioni penali a carico del legale responsabile per le violazioni accertate prima della data della dichiarazione di fallimento della società.

In tal senso si espressa la Corte di cassazione, Terza sezione penale, con la sentenza n. 57513.18 depositata il 19 dicembre scorso, ribaltando così la sentenza di primo grado che aveva invece mandato assolto l'imputato ritenendo che il fatto “contestato non costituisce reato essendo, successivamente alla realizzazione della condotta, stata dichiarata fallita la società amministrata dall'imputato”. In sostanza il Tribunale, secondo la tesi del piemme ricorrente, avrebbe erroneamente escluso, nella fattispecie, la configurabilità dell'elemento soggettivo del reato contestato all'imputato (trattasi di reato contravvenzionale in materia di prevenzione infortuni), ritenendolo impossibilitato, a causa del fallimento della società della quale era amministratore, a corrispondere l'importo dovuto a titolo di sanzione, che avrebbe provocato l'estinzione del reato. Poiché però la sentenza parla di sanzione amministrativa e successivamente di reato, appare verosimile che si tratta nel caso in questione, di reato contravvenzionale, secondo la rubrica di cui al Testo unico sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro approvato con Dlgs n. 81/2008. In tal caso il Tribunale avrebbe omesso di considerare il carattere personale della responsabilità, gravante sul responsabile dell'organizzazione dell'impresa come tale obbligato ad adottare tutte le misure necessarie a prevedere, prevenire ed evitare il verificarsi di infortuni a carico dei lavoratori, a nulla rilevando il fallimento della società, posta invece a fondamento della sentenza assolutoria di quel Tribunale.

Premesso che il pagamento dovuto per la contravvenzione e il collegato effetto estintivo del reato in sede amministrativa ai sensi dell'articolo 301 del Testo unico e dell'articolo 20 e seguenti del Dlgs n. 758/1994, sarebbe maturato prima della dichiarazione del fallimento, è evidente, secondo la Cassazione, che “gli accadimenti ad esso successivi, come nel caso di specie il fallimento dell'ente per il quale l'imputato aveva agito, sono ininfluenti riguardo al perfezionamento della fattispecie”.

E' da rilevare, soggiunge la Corte, che l'impossibilità del soggetto coobbligato di provvedere al pagamento della sanzione in sede amministrativa, oltre ad essere ininfluente riguardo al perfezionamento del reato e alla sussistenza del relativo elemento soggettivo, per essersi il reato già consumato in un momento anteriore, e cioè alla scadenza del termine fissato per provvedere alla elaborazione del documento di valutazione dei rischi, non libera, comunque, l'autore del reato dall'obbligo di provvedere al pagamento della somma dovuta a titolo di sanzione. Trattasi, in ogni caso, di condotta successiva al perfezionamento del reato, ininfluente ai fini della valutazione della condotta dell'imputato, anche nella fase successiva alla consumazione del reato.

La sentenza n. 57513/18 della Corte di cassazione

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