Contrattazione

Niente causali e limiti di durata per il lavoro stagionale

di Giampiero Falasca

Il lavoro stagionale è rimasto immune dalle regole introdotte dal decreto dignità (Dl 87/2018) sul lavoro a tempo determinato, con la conseguenza che i contratti possono essere rinnovati o prorogati anche in assenza delle causali previste dal nuovo articolo 19, comma 1, del Dlgs 81/2015.

Questa esenzione è molto importante, in quanto consente di escludere, per rapporti di lavoro destinati a ripetersi in alcuni periodi dell’anno, l’applicazione di regole assolutamente incompatibili con le prestazioni stagionali.

Non si applicano neanche i limiti di durata massima introdotti dalla riforma (24 mesi), l’obbligo di attendere 10 o 20 giorni in caso di rinnovo del contratto, il tetto quantitativo stabilito per il lavoro a termine (20% dell'organico) e la maggiorazione contributiva dello 0,5% in caso di nuovo contratto tra le stesse parti (esonero limitato, tuttavia, ai soli casi previsti dal Dpr 1525/1963).

Queste ampie deroghe si applicano solo se l’attività è definibile come “stagionale”: risultato non scontato, che si può ottenere sulla base di due percorsi alternativi.

Tale definizione si applica, innanzitutto, se l’attività rientra tra quelle individuate dal Dpr 1525/1963, il provvedimento che – in attesa di un decreto del ministero del Lavoro che lo aggiorni – individua da decenni quali sono le attività stagionali.

Un decreto così risalente nel tempo non può rappresentare per intero l’ampio spettro del lavoro stagionale, perché elenca molte attività ormai desuete e non intercetta in maniera completa tutte le nuove figure professionali richieste dal mercato.

La platea dei lavoratori stagionali può essere definita anche dalla contrattazione collettiva che, secondo quanto prevede l’articolo 21, comma 2, del Dlgs 81/2015, può individuare ulteriori ipotesi di lavoro stagionale.

I contratti collettivi, come su altri punti della riforma, sono chiamati a svolgere un ruolo importante di adattamento delle regole ai diversi contesti produttivi di riferimento: tanto a livello nazionale quanto al secondo livello contrattuale, l’elencazione del lavoro stagionale dovrà essere ampliata e arricchita, per non penalizzare eccessivamente una lunga lista di attività che, pur essendo “stagionali” nella sostanza, non hanno questa qualifica formale tanto nel Dpr del 1963 quanto nel contratto collettivo applicato.

Un altro tema di rilievo riguarda la possibilità per le agenzie di somministrazione di utilizzare il lavoro stagionale (beneficiando delle deroghe connesse). Questione di non facile soluzione, considerato che in questo caso il soggetto che ha il fabbisogno di manodopera stagionale è un terzo (l’utilizzatore) e non il datore di lavoro. La risposta sembra essere affermativa, in quanto una prestazione si può definire “stagionale” per il suo contenuto concreto e oggettivo, a prescindere da chi sia il datore di lavoro.

Ovviamente, anche in questo caso, l’applicazione delle deroghe connesse al lavoro stagionale sarà strettamente subordinata alla possibilità di collocare la prestazione dentro l’elencazione del Dpr 1525/1963 o in quella prevista dal contratto collettivo applicato dall’utilizzatore. Da notare che in tale ipotesi si applicherà comunque il tetto quantitativo del 30%, inteso come sommatoria tra lavoro a termine e somministrazione, in quanto la legge (al contrario del limite del 20% applicabile ai rapporti diretti) non contiene un’esclusione specifica.

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