Rapporti di lavoro

Precari Pa, per il posto fisso anzianità entro fine anno

di Gianni Trovati

La versione definitiva della riforma del pubblico impiego arriverà in settimana al consiglio dei ministri, amplierà i parametri che permettono di candidarsi alla maxi-stabilizzazione dei precari e renderà più flessibili i vincoli sul salario accessorio. Difficile, invece, ipotizzare modifiche ulteriori al rapporto fra legge e contratto e alle regole chiave sul procedimento disciplinare; su quest’ultimo tema potrà arrivare qualche ritocco, in particolare per chiarire quando le valutazioni negative possono portare alla sanzione estrema del licenziamento, senza però cancellare il principio per cui i vizi formali o procedurali non possono far decadere le sanzioni.

L’incontro di ieri pomeriggio fra la ministra della Pa Marianna Madia e i sindacati ha sancito il perimetro delle modifiche possibili alla prima versione del testo, anche alla luce degli argomenti che hanno dominato l’esame in Parlamento, al Consiglio di Stato e nell’intesa con gli enti territoriali.

Il capitolo su cui si annunciano le modifiche più importanti (come anticipato sul Sole 24 Ore del 4 maggio) riguarda il piano triennale di stabilizzazione previsto per i precari, circa 50mila secondo il governo, che hanno maturato almeno tre anni di anzianità negli ultimi otto. «Eviteremo discriminazioni fra i precari», ha spiegato la ministra nel corso dell’incontro, e per centrare l’obiettivo si lavora su più fronti: la possibilità, prima di tutto, di candidarsi alla stabilizzazione anche per chi ha lavorato in amministrazioni diverse da quella che procede all’assunzione, e quella di maturare i tre anni di anzianità entro fine anno (il piano parte il 1° gennaio prossimo) e non alla data di entrata in vigore della riforma. Due modifiche, queste, che eviterebbero la lotteria delle esclusioni a chi, nella sanità ma non solo, ha lavorato per più enti con contratti a termine: sempre in quest’ottica, il piano potrebbe imbarcare anche i precari delle Province che hanno cambiato ufficio nella riorganizzazione post-riforma Delrio, e chi nel frattempo ha visto scadere il proprio contratto. Per le scelte definitive serve un passaggio ulteriore in Ragioneria generale, ma le stabilizzazioni dovranno entrare nella programmazione ordinaria del personale, per cui un ampliamento dei parametri non gonfia la spesa.

Più delicato, da questo punto di vista, è il tema dei fondi per il salario accessorio, che finanziano la parte integrativa della busta paga. I «vincoli da superare», secondo la definizione data dai sindacati dopo l’incontro di ieri, riguardano in questo caso l’obbligo di destinare ai premi di produttività (dell’ufficio, e non più individuale) la «quota prevalente» dei fondi accessori: quest’obbligo rischia di prosciugare i finanziamenti per le indennità che fanno parte dell’accessorio, ma sono fisse perché riguardano i turni, lo straordinario, il «disagio» di chi lavora in strada e nulla c’entrano con la produttività. La soluzione potrebbe essere quella di concentrare sulle performance la «quota prevalente» delle sole parti variabili.

Dopo il via libera, sarà la volta degli atti di indirizzo per avviare le trattative sul rinnovo dei contratti: che però hanno bisogno di 1,2 miliardi aggiuntivi nella manovra d’autunno per raggiungere gli 85 euro di aumento medio promesso dall’intesa fra governo e sindacati del 30 novembre scorso .

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