Professionisti e previdenza: l’emergenza che grava sugli «ultimi arrivati»
Le Casse previdenziali stanno diventando un perno sempre più importante del sistema professionale. Non tanto perché, a livello aggregato, costituiscono uno dei “forzieri” nazionali, con 80 miliardi di patrimonio, ma perché - come dimostra l'inchiesta del Sole 24 Ore - il puzzle degli interventi in campo (dalle agevolazioni contributive per i neo iscritti fino al credito agevolato) punta a governare le dinamiche demografiche e la crescita all'interno delle coorti professionali
Le Casse stanno attuando verso i giovani una politica virtuosa che scaturisce senza dubbio dalla responsabilità dei vertici degli enti, ma che è anche stata favorita, e in alcuni casi indotta, da una serie di indirizzi politici, che ora - anche per l’eterogenesi dei fini - porta gli enti a governare i destini professionali.
Le direttive, in particolare, sono quelle relative all’obbligo, per le Casse di previdenza private, di redigere bilanci attuariali a 50 anni per provare la sostenibilità e l’equilibrio economico-finanziario nel medio e lungo periodo.
La riforma Monti/Fornero ha collegato lo stress test ,in caso di “gap”, al vincolo di adottare misure correttive draconiane, tra le quali il metodo di calcolo contributivo per determinare gli assegni pensionistici.
I nuovi parametri dei bilanci attuariali hanno obbligato le Casse a “misurare” le loro prospettive in un tempo più lungo e a verificare la loro salute in rapporto al Pil di categoria, su ingressi e redditi, sia complessivi, sia distinti per fasce d’età. Grazie al monitoraggio severo dei bilanci tecnici, anche senza la dinamica causa-effetto di un “buco” economico-finanziario, il metodo contributivo, con varie articolazioni, è diventato comune nel catalogo delle Casse, nella consapevolezza che gli equilibri previdenziali vanno preservati per tempo, con attenzione continua agli ingressi, al genere e all’età degli iscritti, alle loro carriere professionali e ai loro risultati reddituali e contributivi.
Ciò che non sono riuscite a fare le promesse riforme degli Ordini, cioè rendere le professioni attente al destino delle giovani leve e trovare gli strumenti per redistribuire le potenzialità reddituali, è ora un compito che, in qualche modo, è affidato alle Casse. Perché, come già metteva in evidenza «Il Sole 24 Ore» del 6 marzo, senza giovani non c’è futuro nemmeno per i professionisti più anziani e affermati.
Da qui gli interventi delle Casse per cercare di disegnare il loro futuro, con i pacchetti di aiuti in favore dei giovani. Per la verità, in molti casi, si tratta di misure che hanno alle spalle qualche anno, per esempio gli sconti sui contributi per quanti sono all’inizio della carriera lavorativa.
Tuttavia, ciò che fa la differenza è il corredo: non solo la riduzione contributiva, ma anche il prestito agevolato e poi, per esempio, il “voucher” per la maternità. Certo, i pacchetti vanno perfezionati, accresciuti e modulati in modo organico per essere davvero fattori di redistribuzione.
Questa direttrice potrebbe essere imboccata e “facilitata” attraverso la delega contenuta nel disegno di legge sul lavoro autonomo, che consente alle Casse di definire politiche di sostegno per gli iscritti più fragili.
Sarebbe lungimirante che il Governo sostenesse le Casse in questo percorso, facendo in modo che la dote della delega non si limitasse agli ammortizzatori sociali per i professionisti in difficoltà, ma che si estendesse alle facilitazioni per quanti iniziano l’attività professionale. La forbice tra chi avvia uno studio e quanti sono nella professione da 20-25 anni è naturale, ma occorre mettere in campo strumenti perché il divario possa essere progressivamente superato e perché gli ultimi arrivati non siano relegati ai margini del mercato per un tempo troppo lungo.
Insomma, oggi una possibile riforma delle professioni - intesa quale insieme di politiche per agevolare l’ascesa professionale dei giovani - passa da qui.