Contenzioso

Dipendente reintegrato, trasferimento all’estero solo per ragioni tecniche, produttive e organizzative

di Giulia Bifano e Uberto Percivalle

Il datore di lavoro può legittimamente adibire il dipendente licenziato e che abbia ottenuto un provvedimento di reintegra a nuove mansioni e presso nuove sedi laddove sussistano sufficienti ragioni tecniche, produttive e organizzative. In tal caso, il dipendente che non si presenti in servizio, può essere validamente licenziato anche laddove la sede di assegnazione sia all'estero, sussistano ostacoli nel raggiungerla e il lavoratore abbia mosso obiezioni all'assegnazione.

Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza 9224/18, respingendo il ricorso proposto da due lavoratori che, dopo la dichiarazione di illegittimità del loro licenziamento collettivo e la conseguente reintegra, avevano ricevuto dal datore di lavoro l'invito a riprendere servizio presso un cantiere in Algeria, ben lontano dalla precedente sede di lavoro italiana. I dipendenti non si erano presentati in servizio, adducendo che il datore di lavoro avesse mancato di dar loro il preavviso previsto contrattualmente in caso di trasferimento e di comunicare il provvedimento altresì ai sindacati.

Investito della questione, il Tribunale di Gela accertava l'illegittimità del licenziamento, che veniva tuttavia poi negata dalla Corte d'appello di Caltanissetta, con sentenza ritenuta corretta dalla Cassazione.

I giudici di merito avevano confermato la legittimità del provvedimento espulsivo sul presupposto della «mancata ottemperanza dei lavoratori all'invito a riprendere servizio nei termini di legge», a prescindere, dunque, dalle valutazioni circa le censure dei lavoratori relative all'asserita illegittimità del trasferimento di sede.
Due in particolare le risposte date dalla Corte di legittimità alle lagnanze riproposte dai dipendenti.

Con riferimento alla pretesa violazione delle clausole contrattuali in tema di trasferimenti, la Cassazione ha ritenuto che il licenziamento fosse la conseguenza della mancata presentazione in servizio dei lavoratori, ossia un momento logicamente anteriore a qualsiasi trasferimento.

In secondo luogo i dipendenti avevano sollevato varie questioni, circa la mancata iscrizione alle liste speciali e l'assenza di idonea autorizzazione ministeriale (al tempo dei fatti necessarie per adibire i lavoratori al lavoro in Paesi extra-Ue), come anche quelle relative alla mancanza di passaporto e alla mancata presentazione, da parte del datore di lavoro, della richiesta finalizzata al rilascio del visto d'ingresso in Algeria per ragioni di lavoro. Uno dei dipendenti aveva anche opposto la violazione della disciplina ex lege 104/92 sull'assistenza ai disabili.

Nel ritenere inammissibili le riproposte doglianze la Corte ha comunque ricordato che i dipendenti, nel contestare genericamente l'invito del datore a riprendere servizio, avevano manifestato l'intenzione di «eseguire la volontà datoriale allo scopo di non aggravare il danno e di non incorrere in sanzioni disciplinari». Tuttavia «all'intenzione… non aveva, poi, fatto seguito la ripresa del servizio non essendosi i lavoratori mai presentati presso la sede datoriale al fine di offrire la loro prestazione di lavoro».

L'insegnamento della Cassazione non è quindi solo nel senso della piena liceità della reintegra in un cantiere situato in Algeria, ma anche nel senso che, a fronte degli ostacoli rilevati dai dipendenti, questi avrebbero comunque dovuto tempestivamente mettersi a disposizione presso la sede aziendale e non limitarsi a censurare la decisione datoriale.

La sentenza n. 9224/18 della Corte di cassazione

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