Previdenza

Ipotesi «quota 100», costo a regime oltre i 50 miliardi

di Marco Rogari

Un costo a regime di 50 miliardi, e forse qualcosa di più, con un impatto annuo sulla spesa non inferiore ai 5 miliardi per 10 anni. Secondo i calcoli di Alberto Brambilla, sottosegretario al Lavoro nei primi due Governi Berlusconi e autore del capitolo previdenziale del programma elettorale della Lega, sono queste le coordinate contabili su cui far scorrere la rotta tracciata dal Carroccio che porta a un’ampia ristrutturazione della riforma delle pensioni targata Fornero.

Con questo ampio restyling le uscite dal lavoro sarebbero garantite con il raggiungimento di “quota 100” (almeno 64 anni di età e non meno di 36 anni di contribuzione con la possibilità di utilizzarne fino a una massimo di 2 “figurativi”, maternità escluse) e, in alternativa, con la maturazione di almeno 41 anni e 6 mesi di contributi (anche in questo caso fino a un massimo di due anni potranno essere figurativi) ma con un calcolo dell’assegno interamente contributivo a partire dal 1° gennaio 1996 (decollo della riforma Dini), e non più dal 2012, a meno che prima di quella data non si siano già maturati 18 anni di contribuzione. Brambilla fa notare che il piano della Lega punta «a rafforzare la flessibilità in uscita». Anche per questo motivo strumenti come l’Ape volontaria o l’Ape aziendale, “confezionati” dagli ultimi due governi a guida Pd, non verranno abbandonati. Diversa la sorte, che secondo il Carroccio, dovrebbe toccare all’Ape sociale. Che non convince troppo Brambilla perché apre spazi di «molta discrezionalità all’interno delle scelte» in questa direzione. Nel caso di un governo a guida leghista, dunque, l’Ape social potrebbe finire su un binario morto. E l’ex sottosegretario al Lavoro si dice non troppo affascinato anche dal meccanismo dei lavori gravosi, affinato sempre dagli ultimi esecutivi a guida Pd.

Punto fermo del piano previdenziale della Lega resta il meccanismo di adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. Del resto, a introdurlo è stato uno dei governi di centrodestra.

Proprio questa è la principale differenza con il capitolo previdenziale del programma del Movimento Cinque Stelle, che dopo l’intesa con il Carroccio sulle presidenze delle Camere potrebbero ritrovarsi insieme alla Lega al Governo. Uno degli obiettivi dei Pentastellati è infatti il blocco graduale dell’adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. Solo per questa operazione, secondo i Cinquestelle, servirebbero 3 miliardi l’anno. Ma la Commissione Ue, così come il Fondo monetario internazionale, considera l’adeguamento automatico dell’età pensionabile alla speranza di vita uno “stabilizzatore” quasi imprescindibile per il nostro sistema previdenziale. Su questo punto, quindi, il confronto con Bruxelles si presenta tutto in salita.

Il resto del “pacchetto-pensioni” del M5S collima quasi del tutto con quello del Carroccio. E anche i costi stimati sono molto simili. Il Movimento che vede candidato premier Luigi Di Maio prevede che servano 7-8 miliardi l’anno per il superamento della riforma Fornero con l’introduzione di flessibilità in uscita «intorno a quota 100», la possibilità di uscire dal lavoro con 41 anni di contribuzione almeno per i lavoratori precoci e il ripristino dell’opzione donna. Anche i Cinquestelle, così come il Carroccio, puntano allo stop all’Ape social che verrebbe sostanzialmente inglobato nel loro piano.

Ma le stime della Lega e dei Pentastellati si discostano notevolmente da quelle del presidente dell’Inps, Tito Boeri, per il quale il ritorno a quota 100 e l’uscita con 41 di contribuzione costerebbe 90 miliardi in termini di debito pensionistico aggiuntivo.

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