Agevolazioni

Nell’apprendistato recesso libero solo al termine del contratto

di Alberto Bosco e Josef Tschöll

Se il datore vuole porre fine al contratto di apprendistato professionalizzante (fermo il pagamento del ticket di licenziamento) deve osservare alcune regole contenute negli articoli 42, commi 3 e 4, e 47, comma 4 del Dlgs 81/2015.

Nella generalità dei casi, al netto del recesso durante il periodo di prova (che deve risultare da atto scritto, firmato prima dell’inizio dell’attività), l’articolo 42 dispone che, durante l’apprendistato, si applicano le sanzioni previste per il licenziamento illegittimo.

Invece, al termine del periodo di apprendistato, le parti possono recedere dal contratto, ex articolo 2118 del Codice civile, con preavviso decorrente dal medesimo termine.

In mancanza di preavviso, chi recede è tenuto verso l’altra parte a versare un’indennità pari alla retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.

Se nessuna delle parti recede, il rapporto prosegue come ordinario rapporto a tempo indeterminato: in questa ipotesi (ossia nel caso di “stabilizzazione” del giovane) i benefici contributivi sono mantenuti per un anno dalla prosecuzione alla fine dell’apprendistato, con esclusione dei lavoratori che ancora beneficiano di indennità di mobilità o di un trattamento di disoccupazione. Per questi ultimi non è possibile il licenziamento con preavviso, al termine del periodo formativo: quindi, a parte il recesso durante il periodo di prova, il licenziamento dovrà sempre essere sorretto dalla giusta causa o dal giustificato motivo oggettivo o soggettivo.

Detto che, in caso di dimissioni o di risoluzione consensuale, vanno osservate le nuove disposizioni che prevedono la sede protetta o il ricorso al modulo telematico (inviato anche con l’assistenza di un soggetto abilitato, inclusi i singoli consulenti del lavoro), quanto alla disciplina del licenziamento occorre rifarsi all’articolo 1 del Dlgs 23/2015 (contratto a tutele crescenti), secondo il quale le nuove regole si applicano anche nei casi di conversione, dopo il 6 marzo 2015, di un apprendistato in contratto a tempo indeterminato.

In estrema sintesi, la disciplina del licenziamento, per le diverse ipotesi, è la seguente:

licenziamento nullo, discriminatorio od orale: il giudice ordina la reintegra e condanna il datore a pagare un’indennità commisurata alla retribuzione per il calcolo del Tfr, dedotto quanto percepito per altre attività, con un minimo di cinque mensilità;

licenziamento per giustificato motivo o giusta causa illegittimo: il giudice dichiara estinto il rapporto e condanna il datore a pagare un’indennità non soggetta a contributi pari a due mensilità dell’ultima retribuzione per il Tfr per ogni anno di servizio, con un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità (da 2 a 6 se il datore non ha più di 15 dipendenti);

solo per i datori di maggiori dimensioni: nel caso di licenziamento disciplinare in cui sia dimostrata l’insussistenza del fatto materiale contestato, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore a reintegrare e a pagare un’indennità economica non superiore a 12 mensilità.

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