Contenzioso

Conciliazioni a rischio sui diritti inderogabili

di Daniele Colombo

Assumere un lavoratore per svolgere le stesse mansioni già espletate da un altro dipendente, subito dopo la sottoscrizione da parte di quest’ultimo di un verbale di conciliazione in una delle sedi protette in base all’articolo 2113 del Codice civile, nell’ambito di un licenziamento collettivo, potrebbe inficiare la validità del verbale, con il rischio di vedere annullate le rinunce e le transazioni qui contenute.

Per la Corte di cassazione, infatti, questa condotta del datore di lavoro integra un vero e proprio raggiro, messo in atto attraverso una «condotta di silenzio malizioso», che, insieme al complessivo comportamento del datore, induce in errore l’ex lavoratore, spingendolo a rinunciare al posto di lavoro e a tutti i suoi diritti con un accordo conciliativo (dolo omissivo ex articolo 1439 del Codice civile). È il principio contenuto nella sentenza 8260 del 30 marzo scorso (si veda Il Sole 24 Ore del 4 e del 5 aprile). Ma fino a che punto sono impugnabili le rinunce e le transazioni contenute in verbali di conciliazione ex articolo 2113 del Codice civile?

La disposizione generale

L’articolo 2113 afferma che non sono valide le rinunce e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili di legge o dei contratti collettivi. La norma trova applicazione anche per i rapporti di lavoro parasubordinato quali l’agenzia e la rappresentanza commerciale, e per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Questa disposizione, tuttavia, non trova applicazione qualora le rinunce e le transazioni siano firmate in sede protetta (giudiziale, sindacale, amministrativa e così via), ove le stesse sono considerate invece, notoriamente, come “tombali” ossia non più impugnabili. La deroga trova giustificazione nel fatto che il lavoratore è adeguatamente protetto nei confronti del datore di lavoro per effetto dell’intervento di un terzo quale l’autorità giudiziaria, il sindacato ovvero l’autorità amministrativa.

I diritti irrinunciabili

Nonostante ciò, tuttavia, vi sono dei casi in cui le rinunce e le transazioni di certi diritti, anche se contenute in verbali di accordo ex articolo 2113 del Codice civile, non sono comunque validi. Ci si riferisce, al esempio, alle rinunce e transazioni dei cosiddetti diritti assolutamente indisponibili del lavoratore, perché tutelati a livello costituzionale, come il diritto al riposo giornaliero e settimanale o il diritto alle ferie, ritenuto irrinunciabile dall’articolo 36 della Costituzione. Si tratta di disposizioni finalizzate al recupero psico-fisico del lavoratore, che, in quanto tali, non possono essere “toccate” e quindi non possono essere oggetto di rinuncia.

Anche la retribuzione minima prevista dalla contrattazione collettiva costituisce un diritto assolutamente inderogabile, perché tutelato dall’articolo 36 della Costituzione e come tale non può essere oggetto di una valida rinuncia.

Qualche dubbio sussiste invece in ordine all’istituto del Tfr. Se si accoglie la tesi per la quale il Tfr matura solo alla cessazione del rapporto di lavoro, la rinuncia e transazione è chiaramente nulla (Cassazione, sentenza 4822 del 7 marzo 2005).

Diversamente, se si aderisce alla tesi secondo la quale il Tfr matura durante il rapporto di lavoro, ma è esigibile solo al termine dello stesso, il Tfr potrebbe essere oggetto di rinuncia o transazione per la parte maturata (Cassazione, sentenza 5431 del 19 ottobre 1982).

Un altro diritto inderogabile è quello correlato al versamento dei contributi previdenziali: il lavoratore, anche se autonomo, non può assolutamente rinunciarvi, né può esonerare, direttamente o indirettamente, il proprio datore o committente dall’obbligo, trattando, magari, su una maggiore retribuzione o compenso. La ragione di questa inderogabilità scaturisce dal fatto che, ex lege, il titolare del rapporto assicurativo è l’Istituto (Inps, Inail, e così via) e il lavoratore, almeno nei limiti prescrizionali, non può assolutamente disporne.

Le rinunce e le transazioni, ancora, devono avere per oggetto solo diritti già entrati a far parte del patrimonio del lavoratore. In questo senso, quindi, radicalmente nulla sarà la rinuncia e/o transazione che abbia a oggetto diritti futuri o eventuali non entrati a far parte del patrimonio del lavoratore.

Infine, le rinunce e le transazioni sono nulle anche in caso di mancanza di effettiva assistenza (sindacale) del lavoratore all’atto della stipula della rinunzia o transazione che consenta al lavoratore di individuare consapevolmente i diritti oggetto di rinuncia e i relativi vantaggi (Cassazione, sezione lavoro, sentenza 24024 del 23 ottobre 2013).

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