Contenzioso

L’azienda deve verificare chi bara sui rimborsi

di Angelo Zambelli

Se più dipendenti pranzano insieme e presentano richieste di rimborso in numero superiore ai commensali, spetta all'azienda verificare chi ha messo in atto un comportamento illegittimo, e non a uno solo dei lavoratori dimostrare la sua correttezza.

Il caso deciso dalla Corte di cassazione con la sentenza 8820/2017 riguarda la legittimità del licenziamento di un dipendente, estromesso dall'azienda per aver presentato al proprio datore di lavoro una «reiterata richiesta di rimborsi spese di ristorazione, contrastanti con contestuali domande di rimborso presentate da altri dipendenti che il lavoratore aveva indicato come partecipanti ai pranzi ai quali si riferivano le istanze di pagamento».

Impugnato il recesso, il dipendente è stato reintegrato dal giudice di primo grado che, con sentenza successivamente confermata dalla competente Corte di appello, ha dichiarato illegittimo il provvedimento espulsivo in quanto assente in giudizio la prova della fondatezza degli addebiti posti alla base del licenziamento irrogato e, in particolare, la prova della falsità della partecipazione di terzi ai pranzi in relazione ai quali il lavoratore licenziato aveva richiesto il rimborso.

L'impresa soccombente ha quindi impugnato la decisione di merito lamentando che, di fronte alla circostanza per cui i dipendenti indicati dal lavoratore licenziato come partecipanti al pranzo in sua compagnia avevano a loro volta presentato una differente richiesta di rimborso, sarebbe spettato al lavoratore stesso dimostrare l'effettiva partecipazione ai pasti dei colleghi per i quali aveva avanzato la richiesta di rimborso.

Investita della questione, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto tendente a conseguire una mera rivalutazione degli approdi ermeneutici ai quali era pervenuta la Corte di appello in ordine ai dati istruttori acquisiti in giudizio, rivisitazione pacificamente estranea al perimetro della cognizione demandata alla Corte di legittimità in base all'articolo 360 del codice di procedura civile.

Ciò premesso, i giudici non si esimono dal dire la loro sul merito della vicenda, riaffermando che in nessun caso l'ordinamento ammette che il lavoratore licenziato possa venir gravato di un onere di sua discolpa. Per quanto insidioso possa essere, infatti, «l'onere della prova della giusta causa del licenziamento spetta inderogabilmente al datore di lavoro ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 604 del 1996 (vedi ex plurimis, Cass. 16 agosto 2016, n. 17108)».

Conclude quindi la Cassazione osservando come nel caso in esame oggetto della contestazione disciplinare non era l'incasso di rimborsi a fronte di spese non sostenute, bensì «la richiesta di rimborso spese per pranzi relativi a soggetti che avevano a propria volta richiesto i medesimi rimborsi» e che, in questa prospettiva, la Corte di appello ha correttamente argomentato in ordine alla carenza probatoria sulla circostanza, posta a fondamento dell'atto di recesso, che la falsità della istanza di rimborso riguardasse il ricorrente piuttosto che gli altri dipendenti che avevano presentato analoghe istanze di rimborso.

Conseguentemente è stata confermata la declaratoria di illegittimità del licenziamento per mancanza di prova degli addebiti formulati.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©