L’elencazione delle ipotesi di giusta causa nei Ccnl è solo esemplificativa
Se per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo l'elencazione contenuta nei contratti collettivi ha valore rigido e vincolante, lo stesso non può dirsi con riferimento alle ipotesi di giusta causa di licenziamento. La loro elencazione, infatti, ha una valenza meramente esemplificativa di tutta la casistica eventualmente configurabile.
Per la Corte di cassazione (sezione lavoro, 7 gennaio 2019, n. 138), quindi, l'elencazione fatta dal Ccnl di riferimento in materia di giusta causa di licenziamento non esclude che una condotta in essa non ricompresa si configuri come un grave inadempimento o un grave comportamento contrastante con le norme di etica o del comune vivere civile idoneo a legittimare la sanzione espulsiva. Così argomentando, i giudici si sono di fatto uniformati a quanto già statuito con le sentenze n. 5372 del 16 marzo 2004, n. 4060 del 18 febbraio 2011 e n. 2830 del 12 febbraio 2016.
Come emerge più in particolare proprio nei precedenti appena citati (ai quali la Corte si è riportata espressamente), a prescindere da quanto decretato dai contratti collettivi, l'unica condizione che legittima il licenziamento per giusta causa va rinvenuta nella circostanza che il grave inadempimento o il grave comportamento posto in essere dal lavoratore abbia determinato la irrimediabile compromissione del rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.
Del resto non può non considerarsi che, sebbene il giudice sia ovviamente legittimato a tener conto delle valutazioni compiute dalle parti sociali circa la gravità di determinati comportamenti, la nozione di giusta causa di licenziamento resta pur sempre una nozione legale e il relativo accertamento non può che essere compiuto considerando le circostanze di fatto e anche prescindendo da quanto stabilito dalla contrattazione collettiva (in proposito, si veda anche quanto rilevato dalla Corte di cassazione nella sentenza numero 2906 del 14 febbraio 2006).
Tornando alla più recente sentenza del 7 gennaio 2019, va posto in evidenza, inoltre, che la stessa ha ribadito anche che la circostanza che, al fine di valutare il comportamento complessivo del lavoratore, vengano presi in considerazione addebiti ulteriori rispetto a quelli oggetto della lettera di licenziamento non necessariamente rappresenta una violazione del principio di immutabilità della contestazione. Quest'ultimo, infatti, può dirsi preservato anche quando i comportamenti non oggetto di contestazione vengano considerati come circostanze confermative della significatività di quelli contestati per poter procedere a una «valutazione complessiva della gravità della condotta, delle inadempienze del dipendente e della proporzionalità del provvedimento sanzionatorio».
Il Collegato lavoro in attesa dell’approvazione in Senato
di Andrea Musti, Jacopomaria Nannini