Previdenza

Uscite limitate per l’esodo del contratto di espansione

di Enzo De Fusco e Carmelo Fazio

La circolare 88/2022 dell’Inps, andando oltre il testo e lo spirito della norma, ha imposto per ogni anno di vigenza del contratto di espansione una sola finestra di uscita per il prepensionamento. Quindi, per il 2022 la finestra unica non può essere successiva al 30 novembre di quest’anno, mentre per il 2023 non può essere successiva al 30 novembre dell’anno prossimo.

La restrizione determina, come primo effetto negativo, che tutti i lavoratori che aderiscono al piano di prepensionamento devono uscire in un unico momento e questo potrebbe generare ripercussioni nell’organizzazione delle imprese. Infatti, proprio la progressione dei tempi di uscita è la leva utilizzata dalle aziende per garantire la continuità del business, soprattutto in realtà dove il prepensionamento non rappresenta uno strumento di gestione dell’esubero, ma solo un’esigenza di ricambio generazionale. D’altronde, le finestre di uscita progressive sono utilizzate dalle aziende anche per consentire corrispondenti piani di ingresso di nuovi lavoratori accompagnati da percorsi di formazione.

C’è poi un altro aspetto che impatta sui lavoratori e riguarda i tempi per accedere al prepensionamento. Infatti, le imprese, tenuto conto del vincolo di dover prevedere una sola finestra di uscita, indicheranno nel contratto di espansione quasi sicuramente quella più vicina alle date ultime previste dall’Inps, al fine di estendere la possibilità di esodo al maggior numero di lavoratori potenzialmente interessati.

Questo significa, però, che un lavoratore, che a gennaio 2023 si trova a 60 mesi dalla prima decorrenza utile del trattamento pensionistico, dovrà attendere fino al 30 novembre successivo per risolvere il rapporto di lavoro e accedere allo scivolo pensionistico; vale a dire 11 mesi dopo, nonostante la norma gli riconosca il diritto molto prima.

Ultimo aspetto da considerare è l’incertezza che genera “la deroga” alla regola Inps, ossia la possibilità di inserire più finestre di uscita in via eccezionale per «platee particolarmente numerose di lavoratori». Si tratta di una piena discrezionalità dell’istituto, che non consente alle aziende di fare una programmazione organizzativa e una pianificazione dei costi certa, dal momento che le uscite dei lavoratori non sono più nella piena disponibilità delle aziende ma vanno negoziate con l’Inps.

Il contratto di espansione è finanziato fino al 31 dicembre 2023 e quindi non si comprendono le ragioni di imporre, per il 2022, un vincolo di uscita entro la data del 30 novembre prossimo. Peraltro, una data praticamente impossibile da rispettare. Appare evidente, dunque, che la restrizione rischia di porsi addirittura in contrasto con la finalità della norma.

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