Smart working in piena parità
Parità di trattamento economico e normativo; rispetto dei tempi di riposo; diritto alla disconnessione; piena tutela assicurativa contro infortuni e malattie professionali (dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali).
Lo «Statuto del lavoro autonomo» è a un passo dall’approvazione definitiva in Senato (si è chiuso l’esame in commissione, ora il provvedimento attende di essere calendarizzato per l’Aula); e così, quando entrerà in vigore, in Italia, debutterà la prima regolazione nazionale dello “smart working”; vale a dire quella «modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato» (non si introduce quindi un’ennesima tipologia negoziale).
Secondo le nuove regole, la prestazione resa in modalità “agile” dovrà avvenire in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, senza una postazione fissa, ed entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale (si potranno utilizzare gli strumenti tecnologici).
L’accordo con il quale il dipendente decide di passare in “smart” va stipulato per iscritto (ai fini della regolarità amministrativa e della prova) sia a contratto di lavoro in corso che in fase di sua costituzione: nell’intesa andranno individuati anche i tempi di riposo e le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche. Ci si può comunque sempre ripensare: il passaggio “al lavoro agile” infatti è risolvibile unilateralmente da entrambe le parti, con preavviso. In tal caso, la prestazione di lavoro ritorna alle modalità di tempo e di luogo ordinarie.
«È il completamento del Jobs act - spiega Maurizio Del Conte, professore di diritto del lavoro alla Bocconi di Milano, autore del Ddl, e ora presidente di Anpal -. Si sfruttano al meglio le opportunità di lavorare da remoto ormai consentite dalla tecnologia informatica portatile. Un aiuto, concreto, soprattutto alle donne, le quali, anche per mancanza di adeguati servizi di welfare pubblico, rinunciano al lavoro più che in altri paesi europei, pur di non allontanarsi fisicamente da casa e famiglia».
Il lavoratore “agile”, è scritto espressamente nelle nuove disposizioni, «ha diritto a un trattamento economico e normativo non inferiore» a quello complessivamente applicato, in attuazione dei contratti collettivi di cui all’articolo 51 del Dlgs 81 del 2015, nei confronti dei colleghi che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda (riduzioni stipendiali sono pertanto ammesse «ma esclusivamente in caso di accordi che comportino riduzioni di orario di impiego», ha aggiunto Del Conte, «come per esempio, un eventuale passaggio da full time a part-time»).
Dal canto suo, il datore di lavoro deve garantire salute e sicurezza, consegnando all’interessato, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di impiego (viene richiamato poi l’integrale rispetto del diritto del lavoratore alla tutela contro infortuni e malattie professionali).
Ma è proprio il richiamo tout-court alle regole su salute e sicurezza (considerato che lo “smart working” fa venire meno, seppur in parte, il riferimento al luogo di lavoro) a preoccupare le aziende, con il rischio, evidenziato le settimane scorse anche da Confindustria, di andare incontro a una nuova responsabilità oggettiva (un nodo, questo, che il governo si è impegnato a chiarire).
Un’altra (possibile) criticità è il raccordo della nuova normativa (nazionale) con le intese (di secondo livello) già sottoscritte che hanno fatto partire in diverse aziende sperimentazioni molto innovative di “smart working”. Bisognerà valutare caso per caso, sottolineano gli esperti. Certo, sarebbe stato opportuno prevedere un regime transitorio, ribattono le aziende.