Previdenza

Un aiuto equo ai lavoratori anziani in difficoltà

di Stefano Patriarca

L’Ape sociale è ai nastri di partenza. Rispetto al tema ”epocale” di come far fronte a una società nella quale gli anziani saranno sempre di più e i giovani sul mercato del lavoro di meno sono numerosi i sostenitori della riduzione generalizzata dell'età di pensionamento come panacea per l'occupazione giovanile. Ma i più sembrano ignorare il particolare che l'operazione non è a costo zero, perché le generazioni più giovani, per un ipotetico scambio pensione contro occupazione, sarebbero chiamate loro e ora a coprire una spesa pensionistica più alta. Eppure i nodi delle difficoltà connesse al lavoro in età avanzate e il nodo del patto generazionale non possono essere elusi.

L'Ape sociale è una rilevante innovazione nel nostro welfare: per la prima volta si colma l'assenza nel nostro sistema di un ammortizzatore sociale per le persone in età avanzata in difficoltà sul mercato del lavoro, che risponde all'esigenza crescente di sostenere coloro che per condizioni personali, familiari, di lavoro hanno difficoltà a rimanere occupati fino all'età per la pensione di vecchiaia. Non lo si fa con la riduzione generalizzata dell'età di pensionamento, ma con uno specifico ammortizzatore legato alle condizioni di bisogno e con un modello di solidarietà esplicito: l'onere è coperto dalla fiscalità generale, non grava sulla spesa previdenziale

L'Ape sociale, infatti, non è una pensione anticipata, il soggetto se è in condizioni di effettivo bisogno percepisce un'indennità per la quale la pensione maturata (ma non percepibile perché non si ha l'età) è solo un riferimento per determinare l'ammontare dell'indennità.

E lo si fa selezionando i soggetti in relazione alle specifiche e personali condizioni di bisogno: l'Ape sociale consentirà ad esempio ad un operaio edile di non dovere continuare a lavorare fino a 66 o 67 annui, o a chi abbia perso un lavoro di poter avere un reddito fino alla pensione, o a chi debba dedicarsi all'assistenza di un figlio o genitore invalido di poterlo fare smettendo di lavorare a 63 anni potendo contare su un reddito.

Questi elementi “sociali” motivano anche perché l'indennità ha un tetto (circa 1.325 euro netti mensili) e, a differenza di tutte le proposte fatte in precedenza , non provoca riduzioni della pensione futura.

Peraltro la possibilità di collegare l'uso dell'Ape sociale, con quello dell'Ape volontaria e con la Rita, mette a disposizione dei cittadini un complesso di strumenti per “personalizzare” e minimizzare i costi per dotarsi di “redditi ponte” in età anziana alle condizioni più favorevoli. Gli esempi riportati in questa pagina ne fanno emergere le caratteristiche equitative e di flessibilità delle soluzioni.

Una particolare sottolineatura va fatta su due elementi : è la prima volta si introduce una possibilità di uscita agevolata dal mercato del lavoro dei “caregivers”, che costituiscono un'area in grande espansione e di grande disagio, ed è la prima volta che si introduce un sostegno al reddito per i disoccupati “anziani” privi di ammortizzatori e l'Ape è l'ammortizzatore alternativo e appropriato per rispondere ai problemi che crea l'innalzamento dell'età e la lontananza dalla pensione non vi è più ragione (se mai vi fosse stata) per continuare nella gestione degli anticipi pensionistici generalizzati o “à la carte” , fortemente iniqui, come quello degli “esodati” . L'Ape sociale può rappresentare la fine di soluzioni che hanno nascosto dietro il sempre più falso paravento del “né pensione né lavoro” un grande dispendio di risorse pubbliche piovute sulle situazioni più disparate, bisognose realmente o niente affatto, e quindi spesso fuori da un criterio di equità limpido.

Ma occorre eliminare un'illusione e un errore: da più parti si solleva come soluzione per i problemi del mercato del lavoro degli anziani quella di nuovi strumenti assistenziali (pre pensionamenti , redditi assistenziali, pensioni anticipate ...) riferendosi ad età addirittura di 55 anni. È un'illusione e un errore macroscopico pensare che per una società nella quale gli ultra 55 enni saranno sempre di più, si possa rispondere con iniezioni crescenti di spesa pubblica e dei assistenza.

La soluzione non può che essere da un lato rendere permanente l'Ape sociale per i casi di effettivo bisogno sociale dotando così strutturalmente il nostro welfare di un ammortizzatore per l'età prossima alla vecchiaia; ma dall'altro occorre la politica dell'invecchiamento attivo, la modifica del lavoro e delle sue modalità e dei suoi tempi, una politica che non consegni fasce crescenti di “anziani” all'assistenza e all'espulsione dal mercato del lavoro, con costi, sociali ed economici, insostenibili.

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