Contenzioso

Non emendabile l’omessa opzione per la tassazione separata

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di Salvatore Servidio

Il caso trattato dall'ordinanza 30 novembre 2018, numero 31061, della Corte di cassazione, riguarda una rettifica con la quale veniva assoggettata a tassazione ordinaria la plusvalenza realizzata per effetto di cessione di azienda, in ordine alla quale il contribuente aveva omesso di optare per la tassazione separata. In particolare, l'atto impositivo traeva origine dalla omessa indicazione da parte del contribuente, al riquadro RQ, relativo a redditi assoggettati a imposta sostitutiva (al 19%), ovvero nel riquadro RM, relativo a redditi assoggettati a tassazione separata, della plusvalenza derivante dalla cessione di ramo d'azienda e, conseguentemente, dall'assenza di opzione per un regime diverso da quello ordinario.
In giudizio, la Commissione tributaria regionale accoglieva l'appello del contribuente proposto nei confronti della decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso dallo stesso avanzato avverso l'avviso di accertamento.

L'ente impositore ricorre per Cassazione contestando la decisione impugnata per violazione degli articoli 18, 24, 53, 56 e 57 del Dlgs 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui ha ritenuto che il contribuente, avendo ceduto l'azienda e perduto la qualità di imprenditore, avrebbe avuto comunque diritto alla tassazione separata della plusvalenza, non avendo optato per quella ordinaria. Inoltre, si denunzia violazione dell'articolo 16 del Dpr. 22 dicembre 1986, n. 917, nonché degli articoli 2 e 3 del Dpr 22 luglio 1998, numero 322, per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto l'emendabilità della dichiarazione in ogni tempo e la possibilità di accesso alla tassazione separata.

Con l'ordinanza 31061/2018, la sezione tributaria accoglie il ricorso erariale, affermando che deve ritenersi legittima la rettifica del reddito con assoggettamento a tassazione ordinaria della plusvalenza realizzata per effetto di cessione di azienda, in ordine alla quale il contribuente ha omesso di optare per la tassazione separata, dovendosi escludere la possibilità di emendare la dichiarazione in qualunque momento, non trattandosi di rettificare errori od omissioni, bensì di esercitare una scelta del tipo di tassazione.
Nel merito, si premette che la tassazione separata comporta che il presupposto imponibile non confluisce nel reddito complessivo, assoggettato a reddito Irpef con le ordinarie aliquote progressive, bensì, viene tassato "a parte", sulla base di un'aliquota fiscale determinata ai sensi dell'articolo 21 del Tuir.

Coordinando questa disposizione con l'articolo 16 del medesimo Tuir, vigente ratione temporis, (oggi art. 17), può affermarsi che è consentita la tassazione separata in presenza di determinati presupposti:
a) dal punto di vista soggettivo, che il cedente che realizza la plusvalenza sia una persona fisica (poiché non ne è consentita l'applicazione a società in nome collettivo e in accomandita semplice);
b) dal punto di vista oggettivo, che l'azienda ceduta risulti posseduta da più di cinque anni dal cedente;
c) in caso di imprenditore commerciale, all'ulteriore condizione «che ne sia fatta richiesta nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta al quale sarebbero imputabili come componenti di reddito di impresa».

Si ricorda a monte che l'articolo 86 del Tuir disciplina la tassazione delle plusvalenze derivanti dalla vendita, nell'ambito del reddito d'impresa, dei beni diversi da quelli produttivi di ricavi, comprese quelle rivenienti dalla cessione di un'azienda o di un ramo di essa. Anche per tali beni, al pari degli altri beni strumentali, la plusvalenza è imponibile per intero nell'esercizio in cui avviene la cessione ovvero per quote fino a cinque rate annuali di pari importo se il bene è detenuto dal almeno tre anni, e per il computo del periodo di possesso si deve aver riguardo ai giorni di calendario.

Inoltre, l'articolo 58, comma 1, del Tuir relativamente alle imprese individuali dispone che il frazionamento della plusvalenza derivante dalla cessione d'azienda (o ramo d'azienda), non si applica quando si fa richiesta di assoggettare detta plusvalenza a tassazione separata a norma dell'articolo 17, comma 1, del Tuir, il quale alla lettera g) dispone che le plusvalenze, compreso il valore d'avviamento, realizzate mediante cessione a titolo oneroso di aziende possedute dall'imprenditore individuale da più di cinque anni possono fruire della tassazione separata.
Il comma 2 della disposizione aggiunge poi che i redditi indicati – tra l'altro - alla lettera g) se conseguiti da persone fisiche nell'esercizio di imprese commerciali, come nella specie, sono tassati separatamente a condizione che ne sia fatta richiesta nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta al quale sarebbero imputabili come componenti del reddito di impresa.

Ne segue dal richiamato assunto normativo che il regime naturale della tassazione risulta quello ordinario, a meno che l'imprenditore, attraverso una manifestazione di volontà da esprimere nella dichiarazione, opti per la tassazione separata.
Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha affermato in materia di tassazione delle plusvalenze da cessione d'azienda, che l'articolo 16 del Tuir (previgente), ha una portata innovativa rispetto al pregresso regime poiché consente al contribuente persona fisica un'opzione tra tassazione ordinaria e tassazione separata, scelta però che, qualora cada sulla tassazione separata, deve essere espressa in modo univoco e concludente «con una manifestazione di volontà tempestiva», trattandosi di un beneficio per il contribuente che, come tale, è consentito solo nei casi previsti dal legislatore (Cassazione 20 gennaio 2011, numero 12149).

Pertanto, l'opzione per la tassazione separata si configura, sottolinea la motivazione dell'ordinanza 31061/2018, quale dichiarazione di volontà, cosiddetta opzione negoziale per un regime fiscale alternativo. Non si può perciò utilmente invocare per il caso di specie il principio stabilito dalle sezioni unite della Cassazione (sentenza 30 giugno 2016, numero 13378), secondo cui il contribuente, in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell'amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull'obbligazione tributaria: in questo caso, l'affermazione dell'emendabilità attiene esclusivamente alle dichiarazioni di scienza e non, invece, alle opzioni negoziali errate od omesse (Cassazione 12 gennaio 2018, numero 610; 9 maggio 2018, numero 11070).

Nelle sue conclusioni sostiene quindi la Corte che, sul punto, risulta erronea la decisione della Commissione del riesame emessa in violazione dell'articolo 16 del Tuir, per aver affermato la possibilità di emendare la dichiarazione in qualunque momento, non trattandosi, nel caso di specie, di rettificare errori od omissioni, bensì di esercitare una scelta del tipo di tassazione.
Gli elementi indicati in dichiarazione che costituiscono manifestazioni della volontà negoziale del contribuente sono immodificabili, salvo che sia dimostrata la commissione di un errore essenziale obiettivamente riconoscibile da parte dell'Amministrazione. Al contrario, gli errori che consistono in manifestazioni di scienza sono emendabili, anche oltre il termine per la presentazione della dichiarazione integrativa ed anche a mezzo di istanza di rimborso. La giurisprudenza ha ormai stabilito che la dichiarazione può essere emendata anche oltre i termini per la presentazione di quella integrativa (ex articolo 43 del Dpr 29 settembre 1973, numero 600) ed anche a mezzo di istanza di rimborso; invero detto principio si riferisce a quelle parti della dichiarazione che costituiscono una mera dichiarazione di scienza, quindi solo ad alcuni tipi di errori (come ad esempio a quello materiale dell'errata imputazione di una plusvalenza ad un anno anziché ad un altro)(si veda Cassazione 15 dicembre 2017, numero 30172; 18 gennaio 2018, numero 1117; 24 aprile 2018, numero 10029; 12 settembre 2018, numero 22225; 12 ottobre 2018, numero 25596).

Nel caso oggetto del giudizio si era invece in presenza di una di quelle parti della dichiarazione che costituiscono manifestazione di volontà, frutto di una scelta consapevole e volontaria del contribuente in merito ad una determinata opzione. Quest'ultima, pertanto, non poteva essere modificata in futuro, nemmeno a mezzo di istanza di rimborso. L'unica possibilità che ha il contribuente è quella di dimostrare, secondo la disciplina generale dei vizi della volontà ex articolo 1427 e seguenti del Codice civile, la rilevanza dell'errore, in riferimento alla sua essenzialità e all'obiettiva riconoscibilità da parte dell'amministrazione, ma tale condizione non poteva essere ritenuta sussistente nel caso di specie (Cassazione 8 ottobre 2015, numero 20208).

Nessun dubbio quindi che, nella fattispecie in esame, l'opzione per la tassazione separata si poneva come oggetto di una scelta demandata al contribuente, alla stregua del tenore letterale della norma del citato articolo 17, comma 2, Dpr 917/1986.
Dal che ne consegue, secondo la sezione tributaria e in contrario senso alla sentenza impugnata, la legittimità dell'operato dell'amministrazione finanziaria.

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