Vincolo di dipendenza se non c’è autonomia
La Cassazione, con la sentenza 23846 dell’11 ottobre, ha stabilito che nei casi in cui le mansioni inerenti alla prestazione siano «elementari, ripetitive e predeterminate nelle modalità di esecuzione», il criterio dell’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare significativo per la qualificazione del rapporto, occorrendo piuttosto in tal caso fare riferimento a «criteri distintivi sussidiari», quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, l’assoggettamento ad un orario, l’assenza di rischio economico e la mancanza di autorganizzazione in capo al lavoratore.
Nel caso di specie una lavoratrice, terminalista addetta alla ricezione delle scommesse presso un’agenzia ippica, aveva chiesto il riconoscimento della natura subordinata del rapporto con l’agenzia, che sarebbe stato solo formalmente qualificato come autonomo, nonché l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento verbale che le era stato intimato. In primo grado il Tribunale aveva respinto il ricorso, ma la Corte d’appello di Roma aveva ribaltato la decisione, accogliendo in toto le domande della lavoratrice sulla scorta del fatto che il lavoro si svolgeva presso l’agenzia ippica, la lavoratrice era tenuta ad osservare turni stabiliti dall’agenzia, doveva avvertire in caso di assenza e godeva di un compenso garantito.
L’agenzia ippica era quindi ricorsa in Cassazione, lamentando come i giudici dell’appello avessero erroneamente riconosciuto la sussistenza del vincolo della subordinazione pur non essendo emerso dalle evidenze istruttorie alcun assoggettamento lavoratrice al potere di etero-direzione del datore di lavoro, e in particolare al potere disciplinare.
La Cassazione, però, ha confermato la correttezza della decisione resa in appello, e ha chiarito che il mancato esercizio del potere disciplinare è ininfluente quando risulti comunque provata l’assenza di margini d’autonomia del lavoratore nell’esercizio della prestazione. In sostanza, se le prestazioni sono ripetitive e predeterminate, se il lavoratore deve rispettare un orario prestabilito e non corre alcun rischio economico perché percepisce un compenso garantito, allora il mancato esercizio “in concreto” del potere disciplinare è irrilevante, dal momento che la standardizzazione delle mansioni lascia «uno spazio minore all’esplicazione del potere datoriale così come è inteso comunemente».
La Cassazione ha così voluto dare continuità ad una “regola juris” elaborata prima dell’entrata in vigore del Jobs Act (Dlgs 81/15), con il quale le collaborazioni coordinate e continuative sono state ricondotte alla fattispecie del lavoro subordinato ogni qual volta esse si concretizzino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e svolte con modalità organizzate dal committente.
Emerge infatti dalla motivazione una sostanziale coincidenza tra i “criteri distintivi sussidiari” ivi citati, ed il concetto qualificante di “etero-organizzazione”, che dal 1° gennaio 2016 identifica la subordinazione.
La sentenza n. 23846/17 della Corte di cassazione