Contenzioso

Il dipendente depresso non può curarsi chiamando numeri con tariffa extra

di Massimiliano Biolchini e Serena Fantinelli

E' legittimo il licenziamento del lavoratore che compie una lunghissima serie di telefonate verso “numerazioni geografiche a valore aggiunto”, traffico telefonico non attinente alle esigenze di servizio, non consentito e non autorizzato, utilizzando la linea dedicata al fax del reparto cui era addetto trattenendosi nei locali aziendali prima e dopo l'orario contrattuale, e arrecando all'azienda un danno di oltre 8.000 euro.

Lo ha confermato la Corte di cassazione, con la sentenza 3315/2018, respingendo definitivamente il ricorso di un lavoratore che, licenziato per uso illecito di mezzi aziendali a fini personali, ha impugnato il licenziamento sostenendo di soffrire di depressione a causa di una asserita condotta mobbizzante del datore di lavoro, e di avere per questo necessità di “sentire voci amiche nei momenti difficili della giornata”.

La Corte territoriale, con sentenza confermata dai supremi giudici, ha statuito che lo stato psico-fisico del lavoratore non era di depressione, e che comunque questi ben avrebbe potuto sottoporsi a cure appropriate: la gravità dei fatti addebitati, quindi, era tale legittimare l'irrogazione del recesso, seppure con preavviso e per giustificato motivo soggettivo.

Investita della questione, la Corte di cassazione ha confermato la legittimità del provvedimento espulsivo, evidenziando come – e a prescindere dal reale stato di salute del lavoratore – “non si vede neppure in astratto e sul piano della mera razionalità, come possa costituire una causa giustificativa del ripetuto uso illecito di mezzi aziendali a fini personali con un danno di una certa consistenza al datore di lavoro uno stato di sofferenza psicologica, anche attribuibile a quest'ultimo. Al lavoratore certamente non poteva sfuggire il carattere illecito della condotta e certamente non può nemmeno ipotizzarsi una sorta di diritto di ritorsione per comportamenti pretesamente mobbizzanti”.

I giudici, quindi, hanno confermato come risultasse del tutto congrua, logica e coerente la statuizione circa la legittimità del licenziamento perché, anche a voler ammettere che il lavoratore fosse all'epoca dei fatti affetto da depressione, nulla gli avrebbe comunque impedito di ricorrere alle cure del caso, “perché anche una situazione di particolare fragilità psichica del lavoratore – per mera ipotesi argomentativa ascrivibile al datore di lavoro – non legittimerebbe comportamenti come quelli contestati e cioè l'indebito uso di mezzi aziendali come il telefono per fini propri e con grave danno economico del datore di lavoro, la cui contrarietà alla correttezza e buona fede è intuitiva”.

A nulla è valso, per il lavoratore, neppure lamentare una sproporzione del provvedimento espulsivo rispetto al fatto contestato, che ben avrebbe potuto essere punito con una sanzione conservativa: se il giudizio sulla proporzionalità della sanzione e la gravità della condotta addebitata è frutto di una motivazione congrua e logicamente coerente, infatti, esso si sottrae a ogni sindacato di legittimità.

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