Contenzioso

L’ammissione al passivo non è sufficiente per l’intervento del Fondo Tfr

di Matteo Prioschi

Per chiedere l'intervento del Fondo di garanzia del Tfr presso l'Inps non è sufficiente che il lavoratore sia stato ammesso allo stato passivo nella procedura fallimentare dell'azienda. La chiamata in causa del Fondo può avvenire se il datore di lavoro è stato dichiarato insolvente e il rapporto di lavoro è stato interrotto. Questo il principio espresso dalla Corte di cassazione con la sentenza 28136/2018 relativa a un contenzioso tra una lavoratrice e l'Inps.

La lavoratrice ha svolto attività presso una prima cooperativa e poi è transitata a una seconda cooperativa a seguito di affitto di ramo d'azienda. Al momento del passaggio le due coop erano in bonis, ma successivamente entrambe sono fallite. Essendo stata ammessa al passivo della liquidazione coatta amministrativa della prima coop per il credito del Tfr, ha chiesto al tribunale la condanna del fondo di garanzia dell'Inps al pagamento del relativo importo. Tuttavia la Corte d'appello ha rigettato la richiesta.

Secondo i giudici di Cassazione, per risolvere la questione è necessario stabilire se «l'obbligo del Fondo di garanzia…possa scaturire, incondizionatamente, dalla sola ammissione al passivo della domanda del lavoratore». A tal fine viene ricordato che il pagamento del Tfr da parte del Fondo «ha natura di diritto di credito ad una prestazione previdenziale, ed è, perciò, distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro». Tale diritto, in base alla legge, matura a fronte di insolvenza del datore di lavoro e della verifica dell'esistenza e misura del credito in sede di ammissione al passivo.

La Suprema corte ricorda inoltre che, in base alla legge 297/1982, il Fondo di garanzia si sostituisce al datore di lavoro in caso di insolvenza nel pagamento del Tfr previsto dall'articolo 2120 del codice civile. Il richiamo all'articolo 2120 a sua volta comporta che per l'intervento del Fondo «sia venuto ad esistenza l'obbligo di pagamento del Tfr…in capo al datore di lavoro» e che quest'ultimo «in tale momento risulti in stato di insolvenza». Ma per effetto dell'articolo 2120 è necessario che il rapporto di lavoro si sia interrotto «non solo perché il Tfr non può essere preteso se non alla cessazione del rapporto di lavoro…ma anche in quanto è la stessa fattispecie di cui all'articolo 2 della legge 297 del 1982 che include la risoluzione del rapporto, espressamente, fra i presupposti di applicazione della tutela». Inoltre, in caso di trasferimento d'azienda, il cessionario è vincolato dai rapporti che derivano dal contratto tra i lavoratori e il cedente e alla conclusione del rapporto di lavoro il cessionario deve corrispondere tutto il Tfr «in via diretta quanto alla quota di Tfr maturata dopo la cessione; in via solidale quanto alla quota maturata precedentemente», mentre il cedente è responsabile solo della quota maturata prima del passaggio.

In conclusione il Tfr non è esigibile alla cessione d'azienda, nemmeno per la parte già maturata, ma si deve attendere la conclusione del rapporto di lavoro e di conseguenza il credito maturato non può essere ammesso al passivo del fallimento del datore di lavoro cedente.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©