Rapporti di lavoro

Luci e ombre per il job placement

di Claudio Tucci

Marco Biagi aveva chiaro il problema già nel lontano 2001: provare a superare l’autoreferenzialità dell’offerta didattica, collegando, di più e meglio, università (e istituti superiori) a territori e mondo produttivo.

Ma a quasi 15 anni dall’apertura al mondo accademico (e scolastico) delle attività di intermediazione come stanno funzionando oggi i “job center” universitari?

La fotografia, pubblicata qui sotto, che ci anticipa l’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (ex Isfol), parla di una realtà, ancora, con luci e ombre: se per quanto riguarda l’attività di aiuto alla ricerca di un impiego questi “hot spot” - di informazioni su stage, esperienze, master - sono abbastanza frequentati dai laureati (l’ultimo dato, rilevato nel 2014, evidenzia un servizio richiesto da 44 “colletti bianchi” su 100, vale a dire quasi uno su due); guardando, invece, all’effettivo collocamento diretto dei ragazzi (a prescindere dal contratto sottoscritto, un tempo indeterminato o un apprendistato) i numeri sono più bassi: ci si ferma a un modesto 10% (seppur in crescita rispetto al 7,1% registrato prima del 2005, cioè nella fase di sviluppo e consolidamento dei job center universitari - dal 2005 in poi i servizi di placement degli atenei sono diventati più strutturati e presenti ormai negli atenei).

Per il presidente di Inapp, Stefano Sacchi, l’aspetto positivo è che, negli anni, «è aumentato il ruolo dei job center universitari nell’attività di ausilio alla ricerca. Nella crisi però si è quasi azzerato il canale di ingresso nel pubblico, in passato sbocco importante per molti ragazzi ad elevata istruzione e competenze. Questo, ed è molto grave, anche nel settore medico e negli Stem, i settori scientifici. Risultato: difficile occupabilità di giovani ad elevate competenze formati nelle nostre università; allo stesso tempo impoverimento e invecchiamento delle competenze nel settore pubblico, proprio in quei settori (medicina e discipline scientifiche) che sono cruciali per l’innovazione e la competitività del nostro Paese. È chiaro che bisogna invertire la tendenza».

Ma da rafforzare è pure l’investimento in servizi di orientamento e placement: dopo il 2005 appena il 6,1% dei laureati del gruppo «Economico, giuridico, sociale» è riuscito ad ottenere un posto; si sale al 12% (una percentuale piuttosto limitata) nel settore «Letterario, linguistico, pedagogico». «C’è necessità di personale qualificato e specificamente dedicato alle attività di intermediazione a favore dei laureati - ha aggiunto il numero uno di Anpal, Maurizio Del Conte -. Su questo aspetto l’Agenzia è al servizio degli atenei con interventi ad hoc, ispirati alle migliori esperienze internazionali».

Anche perché laddove i servizi placement funzionano i risultati si vedono: è il caso dell’università Luiss di Roma che, grazie ai rapporti consolidati con aziende e istituzioni, ha veicolato oltre 2mila offerte di tirocinio e lavoro ai propri laureandi e laureati (+40% circa rispetto all’anno prima - inoltre, la percentuale dei “colletti bianchi” Luiss che lavora all’estero è passata dal 5 al 10% negli ultimi due anni, e il tasso di occupazione a 12 mesi dal titolo è dell’80%, con punte del 90% negli ambiti economico-finanziari). Sugli scudi anche la Liuc, l’università Bocconi, i politecnici di Milano e Torino, molto attivi nei rapporti con le imprese, le università del Veneto, e quella di Bologna, solo per citare alcune best practice. Nel Lazio è presente il portale «Soul» (oltre 13mila aziende attive, 17.037 opportunità d’impiego, 233.184 curricula inseriti), ma è ancora in attesa del salto di qualità definitivo.

Il punto è che «i job center universitari sono strumenti utili per le famiglie, ma anche per i datori di lavoro che entrano in contatto con giovani qualificati - ha sintetizzato il vice presidente per il Capitale umano di Confindustria, Giovanni Brugnoli -. Bisogna, perciò, rafforzarli, puntando, davvero, a creare in tutt’Italia un link stabile tra formazione e mondo produttivo».

Il confronto

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